Caro direttore,
la lettera apostolica Patris corde, con cuore di padre, che papa Francesco ha emanato l’8 dicembre scorso in concomitanza con l’indizione dell’Anno santo dedicato a san Giuseppe, ci fornisce anche le coordinate per meglio orientarci in questa prospettiva. Vorrei sottolineare in particolare due aspetti della paternità di Giuseppe così come delineati dal Papa: la paternità nell’accoglienza e quella nel lavoro.
Giuseppe 'accoglie' un Figlio non suo, e lo fa perché si fida di Dio: in ciò sta la sua grandezza. Ma qui, oggi, per noi, questo che cosa significa? Il Papa ci dice che «Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e alcune cose sono ormai irreversibili (...). La realtà, nella sua misteriosa irriducibilità e complessità, è portatrice di un senso dell’esistenza con le sue luci e le sue ombre».
È quello che tentiamo faticosamente di fare anche noi, come Acli, nella nostra quotidianità, sapendo che 'accogliere' al di fuori di una facile retorica, significa prendere sul serio i problemi di quell’umanità complessa che incontriamo ogni giorno, che ci chiede aiuto su questioni sostanziali, a cui offriamo risposta non solo in termini assistenziali ma anche educativi e sociali, dando carne e sangue alla nostra ispirazione profondamente radicata nel messaggio evangelico e nell’insegnamento sociale della Chiesa. In fondo, il fatto che fin dall’inizio della nostra vicenda storica, l’annuale giornata dell’assistenza sociale, incentrata sul nostro servizio più tipico e longevo, il Patronato, fosse fissata al 19 marzo non era solo un richiamo identitario, ma in qualche modo l’intuizione di come questo segnale umile di accoglienza rispetto ai problemi altrui fosse spesso risolutivo di rilevanti questioni di vita delle persone che si rivolgevano alle nostre sedi.
Il secondo aspetto riguarda ovviamente l’accoglienza nel lavoro, quel lavoro che, come ricorda il Papa «diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia».
Da sempre le Acli hanno legato l’immagine di Giuseppe e di Gesù al lavoro nella bottega di Nazareth, alla condizione del lavoratore, talvolta con una certa dose di ingenuità, ma con la consapevolezza della centralità del messaggio cristiano anche per il lavoratore della fabbrica fordista, messaggio che si perpetua oggi in una fase in cui la tecnologia sembra dominare sulle persone. Allungando lo sguardo oltre la fase pandemica, in cui ancora siamo immersi, prevediamo un lavoro del futuro che, in molti settori rilevanti, sarà soprattutto lavoro a distanza: se strutturato e organizzato, lo smart working, il cosiddetto lavoro agile, potrebbe portare dei vantaggi, soprattutto in termini di spazi e tempi che il lavoratore può ottimizzare e, dunque, puntando più sulla qualità che sulla quantità. Oggi però bisogna fare i conti con uno smart working ancora in una fase embrionale, con il rischio di nuove forme di alienazione, di sovrapposizione 'dura' fra tempi di lavoro e di vita, di maggiore controllo sulle vite delle persone e, soprattutto, di riduzione dei contatti tra colleghi, facendo venir meno quel dato associativo che è alla base della collaborazione e dell’organizzazione sindacale, sociale e politica.
Anche qui si tratta di assumere un approccio né moralistico né nostalgico, ma piuttosto sapienziale, nel senso di saper leggere attraverso questi cambiamenti le modalità per tutelare e promuovere la dignità dell’essere umano. Come cambierà il lavoro nei prossimi anni, non è dato ancora sapere. Noi proveremo, con le nostre capacità di proposta e di lotta, a dare un contributo per indirizzarne il corso. Come cittadini, come cristiani impegnati per il Bene comune, il nostro obiettivo dovrà essere quello di preservare il significato più profondo del lavoro: quello di rendere ognuno protagonista della prosecuzione di un progetto creativo divino che include ogni donna e ogni uomo.
Infine, vogliamo ricordare il silenzioso 'sì' agito nella storia di Giuseppe, come il 'sì' di tanti lavoratori che in questo anno sono stati al proprio posto silenziosamente e lavorando hanno curato i malati, hanno pensato alla sicurezza di ognuno, hanno amministrato la legge, hanno sanificato, hanno trasportato le merci, e quelli che hanno aspettato che 'passasse', con fiducia e volontà di ripartire. A questi lavoratori che nel silenzio hanno detto 'sì' come fece Giuseppe, uomo dell’accoglienza e del lavoro, va il nostro grazie.
Presidente nazionale Acli