Caro direttore,
avevo “percepito”, tiranno il tempo, che il Papa avesse chiesto (anzi ordinato) a tutti i preti di assolvere “sempre” gli aborti. Forse ingannato, lunedì 21 novembre, dal modo di porgere la notizia da parte di qualche tg, ma certamente dai titoli sui siti online di testate autorevoli che suonavano ambiguamente così :«I preti potranno assolvere sempre il peccato di aborto» e «Aborto, svolta del Papa: i preti assolvano chi procura il grave reato». Credo di non essere stato il solo ad essere tratto in inganno, ma di essere dei pochi a essersi ricreduti già il giorno dopo. Io ho accettato sempre tutto (a volte obtorto collo) dal Papa, però stavolta mi ero scandalizzato e avevo messo in circolazione su internet qualche commento. Ora, dopo aver letto la lettera di don Michele Tartaglia e il suo commento e altri testi, tra cui il passo “usato” della lettera apostolica, ho avuto conferma del fatto che tutti i preti (novità per me, che non sapevo essere questa potestà riservata ai vescovi) possono assolvere, sì, ma in presenza di pentimento! «Non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre», scrive il papa Francesco. E se il pentimento è solo dichiarato, il peccatore i conti li farà col Padre, dopo, quando lo incontrerà.
Mario Grosso - Gallarate (Va)
Gentile direttore,
la lettera di papa Francesco alla fine del Giubileo dice molte cose ma quella sulla possibilità che è stata data a tutti i sacerdoti di dare l’assoluzione e togliere la scomunica dopo un aborto procurato ha fatto parlare tutti i giornali. Ovviamente quelli laicisti hanno profuso più parole e commenti. Nulla è cambiato nel Magistero della Chiesa Cattolica, ma ritornare a parlare di aborto è un bene perché, come diciamo da sempre, è una materia indigeribile. Che se ne parli così tanto addirittura dopo le parole di perdono per chi se ne addolora e pente è ancor più significativo. Dai pro-choice fino ai più rigidi difensori dell’aborto come “diritto assoluto” tutti sono consapevoli che si tratti della soppressione di un essere umano. Dopo che le moderne tecniche ecografiche hanno mostrato quanto sia bello e formato un feto nessuno ha più dubbi sulla sua umanità. Infatti si aggira la questione parlando “solo” del diritto della donna. Si tirano in ballo gli obiettori di coscienza, le trafile burocratiche, gli ospedali senza non obiettori, ma un bimbo a cui è impedita la vita non lascia nessuno tranquillo. La bella intervista del “Corriere della Sera” del 23 novembre al dottor Segato, radicale, socialista, ateo lo dimostra. «Mi pesa sempre di più – dice il ginecologo, che è di Vicenza – (…) lo faccio per senso civico, per quelle donne. Una volta sbagliai, il bimbo nacque: fu il mio errore più bello». Purtroppo, dico io, la macchina messa in piedi dallo Stato con i denari di tutti noi per interrompere le gravidanze funziona alla perfezione, forse più che per altri interventi. La triste cifra che ogni anno va ad aggiungersi agli aborti dal 1978 ne è la prova. L’accanimento con cui questo preteso “diritto” è difeso ha qualcosa di misterioso e inquietante. Poi, e questo è doloroso e sorprendente, la donna che ha abortito viene completamente abbandonata a se stessa. Gli abortisti che l’hanno sostenuta e incoraggiata ad avvalersi della Legge 194 la dimenticano e non l’ascoltano. Infatti potrebbe mettere in crisi le loro ferree motivazioni e far crollare tutta la fragile impalcatura della legge. I tanti volontari dei “Centri di aiuto alla vita” sparsi in tutta Italia lo sanno bene. Forse sono i più esperti nel settore e conoscono i risvolti personali e tragici di chi vuole abortire e di chi l’ha già fatto. Nella bella lettera di don Michele Tartaglia, assistente dell’Ufficio di Pastorale famigliare della Diocesi di Campobasso, alla quale lei, direttore, risponde su “Avvenire” di ieri, 23 novembre, emerge quanto la donna che pensa di abortire, o l’ha già fatto, sia sola e abbandonata al senso di colpa che nessuno dei sostenitori dell’aborto potrà addolcire. Il bisogno del perdono, che tutti prima o poi cerchiamo, è un balsamo sulla ferita che rende più agevole il cammino.
Gabriele Soliani - Reggio Emilia
Gentile direttore,
occorre fare attenzione: già sta passando in molti l’idea che l’aborto sia in fondo un “peccatuccio” veniale, dopo le disposizioni di papa Francesco. Ma si è dato poco rilievo al fatto che lo stesso ha ribadito l’estrema gravità di quell’atto. Non è da adesso, ma la Chiesa ha sempre insegnato che non c’è peccato, per quanto grave, che Dio non possa perdonare. Dispiace che qualcuno, come ad esempio la senatrice Cirinnà, abbia “preso coraggio” interpretando le parole del Papa apparentemente concilianti con l’aborto, per riproporre leggi che vietino al esempio l’obiezione di coscienza del personale sanitario.
Pietro Ferretti
Caro direttore,
in questi giorni diversi mass media in coro hanno esultato o accusato in titoli e commenti: il Papa ha sdoganato l’aborto. È così? Ignoranti come spesso sono delle cose della Chiesa, essi sono stati tratti in inganno dal senso della parola “assolvere”. Quando un tribunale civile assolve una persona da un’accusa, non capita mai che questa si dichiari colpevole. I giudici riconoscono che le sue dichiarazioni di innocenza sono fondate e provate e la sentenza lo libera perché “il fatto non sussiste”, o “il fatto non costituisce reato” o altra motivazione simile. Nel sacramento della Confessione accade esattamente il contrario. Il peccatore non è mai trascinato con la forza davanti al giudice, che è il confessore. Egli si muove spontaneamente e si dichiara colpevole: «Ho molto peccato in pensieri, parole ed opere – il mio peccato mi sta sempre dinanzi...». Il perdono scatta solo davanti a questa dichiarazione di pentimento fatta in piena consapevolezza e convinzione. L’assoluzione che si dà al penitente avviene non perché egli è innocente, ma perché egli si riconosce colpevole, e al tempo stesso intenzionato a cambiare vita: «Propongo col tuo santo aiuto di non offenderti mai più». Il sacerdote può assolvere il penitente (cioè liberarlo dalla colpa e dalla pena spirituale) perché un Altro ha già pagato per lui (e per tutti) dando in cambio la sua stessa vita. Pertanto il Papa non ha sdoganato un bel niente. La facoltà confermata a ogni sacerdote (e già in vigore nell’Anno Santo) di assolvere dall’«abominevole delitto» dell’aborto dovrebbe portare come logica conseguenza alla diminuzione degli aborti e all’aumento dell’obiezione di coscienza. Una domanda semplice: perché aumentano gli obiettori di coscienza, spesso tra medici che hanno già praticato gli aborti? Nessuno ce lo spiega, a parte “Avvenire”, ma il motivo è evidente: perché sono loro più di tutto a vedere e toccare la realtà dell’aborto, che «pone fine a una vita innocente», mentre l’ipocrisia dilagante proibisce di mostrarlo e cerca addirittura di non nominarlo ricorrendo alla innocua sigla: Ivg. E qui sorge una domanda più vasta: come può la Chiesa (e il Papa) difendersi da questo sistematico travisamento del suo messaggio che oggi avviene attraverso i mezzi di informazione?
don Marino Tozzi - Terra del Sole (Fc)
Gentile direttore
nei Vangeli non si parla esplicitamente di aborto, ma mi sembra invece che l’attuale Pontefice ne parli fin troppo a cuor leggero senza che i fedeli si sentano rassicurati da una pur minima impressione che tutto ciò nasca da una “riforma” suggerita al Papa dallo Spirito Santo. Questa è l’impressione che si ricava ascoltando o leggendo le sue dichiarazioni.
Italo Amitrano - Roma
Quanto è importante un’informazione affidabile e ben scelta, gentili e cari lettori più o meno costanti. Lo dimostra ancora una volta il “caso” della distorsione dell’insegnamento e del messaggio del Papa di oggi e della Chiesa di sempre sull’aborto, atto gravissimo perché ci ricorda papa Francesco «pone sempre fine a una vita innocente». Lo sottolinea la lettura “politica” della più ampia apertura pastorale dell’abbraccio a coloro che cambiano sguardo sulla propria esistenza e sulle proprie scelte e vogliono cambiar senso alla vita che hanno condotto e al mondo dominato dalla «cultura dello scarto», facendo i conti con i propri errori. E le vostre lettere lo confermano, con il loro diverso tono. Non per nulla, ieri, ci siamo occupati anche di tutto questo attraverso le cronache e l’approfondimento di Luciano Moia e, in questo stesso spazio, con il mio dialogo con un sacerdote-lettore. E non per nulla oggi Marina Corradi sviluppa (proprio in questa pagina) il suo commento a partire dal racconto del medico abortista e non credente di Vicenza richiamato nella lettera del dottor Soliani, medico a sua volta. Aggiungo solo tre rapide sottolineature. La prima: sono di sinistra e di destra i politici che hanno strumentalizzato la distorta inform azione sul tema aborto: Monica Cirinnà, citata dal signor Ferretti, fa il paio esatto con Matteo Salvini che ha sparato, malamente come è ormai solito fare, contro il Papa. Ieri abbiamo deciso di risparmiare ai lettori i loro vaniloqui, e altri ancora. Perché i politici sempre a caccia di consensi che parlano di ciò che non sanno farebbero bene a informarsi a dovere, ma in alternativa se si risolvessero a cambiare mestiere non farebbero un soldo di danno... La seconda: le persone coinvolte in un aborto sono sempre più d’una: madri che hanno deciso di eliminare quel figlio, padri che non ci sono stati perché non hanno voluto saperne o perché sono stati deliberatamente esclusi, familiari che a volte hanno spinto su questa china tragica, sanitari e altri “tecnici” che hanno reso possibile e apparentemente inevitabile la morte del piccolo, senza dimenticare tutti coloro che possono aver contribuito a creare un clima ostile alla vita e alla donna che la vita porta in grembo... Questo non va mai dimenticato, e chi schiaccia soltanto la madre (per lodarne o, all’opposto, per condannarne la “scelta”) nel ruolo dell’autonoma e solitaria “eroina” dell’aborto compie a sua volta un misfatto. I volontari del “Centri di aiuto alla vita” ci ricordano che un’alternativa allo scarto letale di un figlio c’è sempre, e in molti casi basta indicare l’inizio del percorso a chi non riesce a vederlo. La terza e ultima sottolineatura riguarda la nostra Chiesa. Tanti tra coloro che si dicono cattolici e partecipano alla vita delle comunità cristiane sapevano già che anche l’aborto può essere perdonato, perché nessuno mai è escluso dalla misericordia di Dio. Ma tanti altri no, magari anche tra quelli che hanno il “cuore pesante” perché, come il signor Amitrano, non ascoltano davvero il Papa e continuano a pensare che il Papa parli a “cuore leggero”. Tra i più lontani dalla Chiesa, poi, quasi nessuno aveva questa consapevolezza. Ora non è più così. Magari non per tutti, ma per moltissimi. Voglio dire che questa vicenda ci rammenta che Dio scrive sempre diritto, anche sulle righe storte. Persino l’informazione imprecisa e persino tendenziosa dei giorni scorsi ha fatto arrivare in ogni dove, anche a persone che forse non l’avrebbero mai saputo, il messaggio di papa Francesco: c’è sempre una via per riconciliarsi con la vita se si ha il coraggio della verità. E l’accesso a quella via per chi ha vissuto un aborto è ora più semplice. Dove c’è un prete cattolico, lì c’è qualcuno che può e deve accompagnare con carità e saggezza il cammino lontano dal male e verso il bene. Vi pare niente?