In un articolo poi apparso in Cere perse (1985) Gesualdo Bufalino scriveva: «Quante firme raccoglierebbe un referendum popolare per l’abolizione del congiuntivo, promosso, si fa per dire, dalla Camera del Lavoro?». Per rispondersi così: «Una valanga, temo, specialmente da Roma in giù, dove i dialetti già da un pezzo lo sopportano male». Non poteva immaginare, l’elegantissimo scrittore di Comiso, che la proposta sarebbe finalmente arrivata da Lory Del Santo, una showgirl nata a Povegliano Veronese, paese del profondo Nord dunque, durante la puntata della trasmissione Belve, su Rai2, condotta da Francesca Fagnani, pronunciata da un pulpito ritenuto oggi di maggiore prestigio, se confrontato con un’organizzazione territoriale del sindacato.
Ospite insieme ad Antonella Clerici e Margherita Buy, Lory Del Santo ha detto la sua su molte questioni anche spinose, tra le quali una di ordine squisitamente grammaticale: «Il congiuntivo non lo azzecca nessuno. Non si può eliminare dalla lingua italiana? I giovani non capiscono questo concetto. Cambiamo la lingua italiana perché è troppo complicata su certi punti, per favorire i giovani». Pare che, si legge sul sito web “La tecnica della scuola”, Lory del Santo – chissà se per dare il buon esempio – abbia poco dopo sbagliato un congiuntivo.
Lasciamo pure stare il solito e retorico invito a «favorire i giovani», i quali in verità non sono mai stati a cuore a nessun potente, se non al mercato e alla sua aggressività pubblicitaria: il dato gerontocratico, in Italia, è a tutti evidente. Il problema reale che queste dichiarazioni sollevano è invece relativo al violento scontro in atto, nella nostra società, tra le residue speranze di difesa della nobile lingua italiana (e della sua sontuosa tradizione letteraria) e il trionfo di quell’anti-lingua, violenta e semplificatrice, che già aveva tanto preoccupato un profetico Pasolini negli anni Sessanta. Basterebbe soltanto sfogliare i romanzi che in questi mesi vanno per la maggiore nella nostra società letteraria, evidente dimostrazione del basso tasso di alfabetizzazione di narratrici e narratori oggi vincenti, spesso in difficoltà con le regole basilari della grammatica, epperò sempre in linea con le idee correnti e i valori ideologici dominanti.
Non affermo questo per il fatto che io mi senta un tardivo seguace del purista Basilio Puoti, il maestro di Luigi Settembrini e Francesco De Sanctis. Lo dico perché la rivendicazione dell’importanza del congiuntivo – col suo carattere dubitativo, ipotetico o augurale – equivale per me alla difesa d’una civiltà plurimillenaria, sempre in bilico tra Platone e Aristotele, sant’Agostino e san Tommaso, Montaigne e Pascal, che, al suo meglio, ha fatto dei dettagli e delle sfumature, della tolleranza, il suo punto di forza. Il nostro, purtroppo, è un tempo sempre più declinato all’indicativo: assertivo e semplificato. Il congiuntivo invece, se non è morto, agonizza. La vittoria dell’imperativo, il modo verbale di tutte le dittature, non dico che sia dietro l’angolo ma già è eclatante in molte regioni del mondo in cui non è più di casa la democrazia. Difendere il congiuntivo, oggi, è anche un atto di resistenza civile. Qualsiasi cosa ne pensi Lory Del Santo.