Stefano Di Battista, Novara
Lei, caro signor Di Battista, è vigoroso, realista, pertinente e caustico nelle valutazioni. Ma avere gli occhi bene aperti sul 'caso migrazioni' non vuol dire rinunciare a pensare e indicare un’alternativa moralmente alta a quella logica dell’«arrangiatevi» che nella sua lettera viene così amaramente evocata.Tenere gli occhi bene aperti vuol dire anche impegnarsi per capire ciò che significa e che comporta l’epocale rivolgimento in corso in Nord Africa (e in tutto il mondo arabo) e cominciare, con intelligenza e umanità, a fare i conti con le emergenze che ne conseguono, che sono già serie, ma non ancora immense (i 20-22mila migranti via via arrivati a Lampedusa, sono assai di meno per esempio delle centinaia di migliaia piombati sulla Tunisia dalla Libia in fiamme). Naturalmente, e a questo mi sembra che lei miri, urgono anche soluzioni umanitarie immediate e concrete, come quelle che la Cei e la Caritas italiana hanno offerto per contribuire alla civile e necessaria risposta del nostro Paese a una pressante domanda di comprensione e di accoglienza di migliaia di persone. È la premessa necessaria per riconoscere e aiutare tutti coloro che fuggono da situazioni e sofferenze che tristemente li qualificano come profughi ed è, in linea con la grande cultura cristiana del nostro Paese, l’antidoto all’instaurarsi di una logica della repulsione o, comunque, della preconcetta e ostile diffidenza verso i migranti (considerati, ancora una volta, come rischiosa 'categoria' e non come persone). Un’ultima cosa, caro amico lettore: ha del tutto ragione a ricordarci che su questo fronte nessuna turris eburnea e nessun semplicismo sono oggi concepibili, ma quando si parla di condizioni nomadi, di speranza e di elementi fondativi di civiltà e di fede è quasi inevitabile, per noi credenti, «scomodare Abramo» . E comunque mai potrà diventare un tic chic...
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