Ci saranno anche i sopravvissuti alle torture e ai campi di prigionia libici all’incontro dei movimenti popolari che si svolge sabato 16 ottobre in videoconferenza con la partecipazione di papa Francesco. E si collegheranno direttamente da Tripoli dove da quasi due settimane stanno inscenando una protesta pacifica davanti alle sedi delle agenzie Onu per chiedere al governo libico e alla comunità internazionale di evacuarli verso un qualsiasi Paese sicuro, comprese le nazioni africane che si sono dette disponibili ad accogliere profughi ma che a causa del blocco dei corridoi umanitari imposti dal governo libico vedono limitata anche la possibilità di accoglienza.
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Appena due giorni fa i migranti avevano inviato al Pontefice una lettera indirizzata a Francesco e ai vescovi della Chiesa cattolica. Chiedono aiuto per uscire dalla loro condizione. Le autorità libiche, infatti, hanno proposto come unica alternativa il ritorno volontario nei campi di detenzione, da cui molti sono fuggiti nel corso delle rivolte dei giorni scorsi, quando almeno cinque subsahariani sono stati uccisi dalla polizia che sparava ad altezza d’uomo.
Nel corso dell’incontro i giovani intrappolati in Libia ascolteranno le storie di molti loro coetanei da tutto il mondo e potranno far sentire la propria voce. Alla videoconferenza partecipano rigattieri, riciclatori, venditori ambulanti, stilisti, artigiani, pescatori, contadini, costruttori, minatori, operai di aziende recuperate, cooperative, lavoratori dei settori popolari, lavoratori cristiani appartenenti a diversi settori e professioni, lavoratori provenienti da quartieri e villaggi di tutti i continenti. Da sette anni, i poveri, i meno abbienti e gli esclusi, provenienti dalle periferie urbane, rurali e lavorative, si danno appuntamento in dialogo fraterno con papa Francesco, per dare voce e visibilità alle proprie preoccupazioni sull’aumento delle ingiustizie provocate dalle iniquità di un sistema economico che schiaccia i più vulnerabili.
In un video inviato ad “Avvenire” i profughi si mostrano lungo le strade di Tripoli. Uno di loro, che non vuole essere identificato temendo per la propria incolumità, racconta che domani si collegheranno con Roma “rifugiati di diverse nazionalità, molti dei quali sono in viaggio da lungo tempo. Proveniamo da Paesi come Sudan o Somalia e le autorità libiche ci offrono come alternativa quella di tornare nelle prigioni, ma noi vogliamo solo andare via da qui in un qualsiasi Paese sicuro, per vivere in pace”. E contribuire con la loro testimonianza alla costruzione di un dialogo aperto anche con i “desaparecidos” delle migrazioni.