In queste immagini, che abbiamo ottenuto dalla polizia greca, si vedono militari di Atene che reagiscono a lancio di fumogeni da parte dei militari turchi. In altre parole i greci scaricano la responsabilità degli scontri sui turchi. Le immagini sono state fornite dalla polizia di Atene e riguardano gli scontri avvenuti nei giorni scorsi con i migranti che hanno preso d'assalto la frontiera greca di Kastanies e, provenendo dalla Turchia. Secondo i funzionari Greci il filmato dimostra come a lanciare i lacrimogeni siano stati gli agenti turchi e la polizia greca ha tentato di rilanciare i candelotti oltre il confine. Da parte turca sostengono invece il contrario: a ordinare l'attacco sarebbe stato l'esercito greco. pur in mancanza di una ricostruzione definitiva, l'episodio dimostra come sia in atto anche una guerra di propaganda di cui restano vittime i migranti in balia di interessi politici
A bassa quota gli elicotteri dell’aviazione greca non si perdono un solo palmo di frontiera, mentre i fuoristrada della fanteria presidiano la boscaglia delimitata dal filo spinato. Manca solo l’artiglieria, per fare di Kastanies l’avamposto di una battaglia.
Qui, dove il saluto marziale del premier Mitsotakis ricorda le processioni dei capi di Stato andati a risollevare il morale delle truppe, lo stato maggiore dell’Ue è venuto a chiedere buone maniere in cambio di uno stanziamento da 700 milioni per Atene. Nella dogana terrestre più vicina alla Turchia, almeno per un giorno è stato offerto al mondo il volto presentabile dei poliziotti senza manganello. Via i lacrimogeni, via gli scudi e gli sfollagente. Per i vertici dell’Unione accorsi da Bruxelles le autorità hanno confezionato l’immagine di un Paese sotto assedio, ma rispettabile.
Ai giornalisti, però, è stato negato l’accesso alla via doganale di Kastanies. «Ragioni di sicurezza», spiegavano gli ufficiali. Dove l’unica minaccia sarebbero stati i diecimila e più stranieri ammassati da Erdogan lungo le sponde turche dell’Evros. Anche questa è una guerra con altri mezzi. Da Ankara agitano un nuovo spauracchio: «130mila migranti si stanno dirigendo verso il confine dell’Ue». Le organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Unhcr-Acnur, danno un numero dieci volte inferiore. Ma non è detto che il fiume umano non torni a gonfiarsi in poche ore.
«Delle diverse migliaia di persone ora concentrate vicino Edirne (Turchia) e lungo il confine turco-greco, il 40% sono famiglie con bambini», spiegano i funzionari dell’Unicef. Anche David Sassoli, parlando a un gruppo di giornalisti italiani, non ha nascosto il disappunto per il gran numero di minori non accompagnati «sia sulle isole che qui e per i quali – auspica il presidente dell’Europarlamento – bisogna fare molto di più».
Dopo il grugno del giorno prima, con l’assalto a un barcone compiuto in contemporanea da una motovedetta ellenica e da un motoscafo con uomini a volto coperto, mentre venivano esplosi colpi in direzione dei migranti, ad Atene sapevano di dover rimediare. Ma fonti turche non confermate parlano di altri due gommoni respinti ieri anche a colpi di arma da fuoco. Vi sarebbero due feriti. Anche ieri a Lesbo ci sono state tensioni. Maria Alverti, direttrice di Caritas Grecia, giudica «vergognoso» e «orribile» il comportamento dei guardacoste: «È contro ogni legge umanitaria ed etica».
Intanto diverse agenzie umanitarie internazionali hanno confermato da Edirne, in Turchia, la morte di un giovane siriano colpito lunedì da un proiettile di gomma sparato dalla polizia greca contro la calca di profughi. Dall’ospedale turco i medici riferiscono di avere estratto anche un secondo proiettile dalla schiena del 22enne di Aleppo, la cui storia era stata ricostruita ieri da "Avvenire".
Sulla terraferma, lontano dal circo mediatico allestito per il vertice, la situazione è quella di sempre. Cumuli di immondizia lungo l’argine più rialzato dell’Evros, a testimonianza del passaggio dei profughi. Nei dintorni si aggirano i militanti di Alba Dorata e di altri gruppi di estrema destra, che ad Atene e sulle isole si sono fatti notare per le violente ronde antimigranti. I fuoristrada dell’esercito corrono dietro a qualsiasi cosa si muova. Giornalisti compresi.
«Dovete andarvene», ripetono ogni volta che un reporter viene segnalato lungo i sentieri più isolati. «Tutto il confine adesso è da considerarsi come zona militare. Ed è meglio se non fate foto neanche nel Paese», minaccia un sottufficiale. Il villaggio in questione è Dikaia, un mucchio di case basse tra i campi. Ogni tanto si affaccia un vecchio. I giovani, da qui, se ne vanno con biglietti di sola andata. Il luogo più movimentato è la caserma di polizia: «Ci portano i profughi e non sappiamo che fine fanno», racconta una donna del posto che ha l’aria di saperla lunga. Dalla collina si osserva l’ansa del fiume che curva intorno al territorio turco. Appena pochi passi più a nord si vede il posto di controllo bulgaro.
«A partire da sabato abbiamo impedito l’ingresso illegale di 26.532 persone nella zona di Evros», informano fonti del governo centrale. Agli arresti sono finiti in 218. Rischiano un’ammenda da 10mila euro e 4 anni di carcere per immigrazione illegale. Sulla carta Atene non ha dichiarato lo stato d’emergenza. Ma nei fatti lo è. Il primo marzo è stata annunciata la sospensione temporanea dell’accesso alla procedura per ottenere l’asilo. Per Amnesty International: «Un’agghiacciante tradimento degli obblighi in materia di diritti umani».