L'omaggio al memoriale delle vittime di Maidan a Kiev - Reuters
«C’era anche mio fratello a Maidan dieci anni fa. Ma quella non è stata una rivoluzione pacifica. Di violenza ce n’è stata fin troppa: non di chi manifestava, ma di chi ha provato a reprimere il sogno di rinascita che tutti avevano». Don Oleg Klymonchuk è prete da poche settimane. Ha trent’anni. La sua nuova casa è una parrocchia greco-cattolica nei dintorni di Kiev dove svolgerà il ministero pastorale. Da lì torna con la mente alla rivolta iniziata nel novembre 2013 nella piazza principale della capitale contro il presidente filorusso Viktor Yanukovich e il suo stop alle aspirazioni occidentali dell’Ucraina che ha segnato anche la sua storia personale. «Sì, per strada era scesa un’intera generazioni. Compresa la mia famiglia», dice.
Quei giovani sarebbero stati ribattezzati di “Euromaidan”. Come migliaia di persone che avevano invaso le piazze non solo della capitale ma anche delle maggiori città del Paese. Per chiedere un’Ucraina nuova, che guardasse all’Europa. Una rivoluzione che Mosca ha sempre considerato un colpo di Stato dopo la fuga di Yanukovich in Russia. Tre mesi di proteste marcate anche dalla dura repressione delle forze dell’ordine e dal sangue. Centosette i morti, diventati poi i “cento eroi celesti” nell’immaginario collettivo. «Fra loro anche alcuni di quelli che erano nel palazzo dove era stato bloccato mio fratello – racconta il sacerdote –. Rinchiuso lì dentro. Di fatto prigionieri solo perché sognava un Paese migliore, più giusto e libero. Lui si è salvato. Altri che si trovavano in un’ala diversa dello stabile sono stati uccisi».
Nel “Giorno della dignità e della libertà”, come qui viene chiamato l’anniversario di Maidan che si celebra il 21 novembre, debutto della rivolta, l’Ucraina sotto le bombe si ritrova unita nel ricordo. «Dieci anni fa abbiamo aperto una nuova pagina nella nostra battaglia. Dieci anni fa gli ucraini hanno condotto la loro prima controffensiva contro l’illegalità, contro i tentativi di privarci di un futuro europeo, contro il nostro essere schiavi», spiega il presidente Volodymyr Zelensky. Per l’occasione accoglie a Kiev il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, la presidente della Moldova, Maia Sandu, e il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, che in dote porta un nuovo pacchetto di aiuti militari da 1,3 miliardi di euro. Maidan è stata una lotta «contro la sottomissione» al Cremlino, dichiara il leader ucraino. E «una prima vittoria» in un conflitto che il Paese continua a combattere. E che di fatto va avanti dal 2014 quando all’indomani delle proteste civiche era arrivata la risposta russa con l’assalto alla Crimea e l’inizio degli scontri in Donbass.
Il presidente è consapevole che dopo oltre seicento giorni di guerra le tensioni all’interno del Paese stanno salendo. E anche lui comincia a essere chiamato in causa per non aver saputo arginare la crisi economica e la corruzione. Sono le due grandi piaghe che hanno fatto crollare la fiducia verso le istituzioni. L’Ucraina non solo fa i conti con il dilagare della povertà alimentata dalla distruzione dei missili di Mosca, dalla mancanza di lavoro e dalla migrazione interna di milioni di profughi, ma anche con l’impennata dei prezzi. Compresi quelli della benzina e dell’energia elettrica. Tra poche settimane raddoppieranno le tariffe della corrente: una mazzata per le famiglie alle prese con l’inverno. Alle stelle anche il costo dei carburanti benché sia diminuito di qualcosa rispetto ai picchi raggiunti in estate. Ed è esplosa la corruzione, fra aiuti occidentali scomparsi, mercato nero, “tangenti” per evitare di partire al fronte nel tempo dell’arruolamento obbligatorio. «C’è chi si sacrifica in prima linea, chi si mobilita per sostenere i militari o la gente in difficoltà – ripetono i volontari nelle ong –. E poi c’è chi si è arricchito con la guerra o se ne sta al sicuro nelle proprie ville e nei palazzi del potere». Da qui l’appello: «Non distruggiamoci da soli».
In serata anche papa Francesco è tornato a parlare di Ucraina. Ha raggiunto l’Aula nuova del Sinodo durante la proiezione del film documentario Freedom on Fire: Ukraine’s fight for freedom di Evgeny Afineevsky voluta dall’ambasciata ucraina presso la Santa Sede. Il Papa si è trattenuto fino al termine della proiezione e, dopo un minuto di silenzio in preghiera per le vittime del conflitto, ha rivolto alcune parole di saluto e ringraziato per la testimonianza di tanto dolore. «Le guerre sempre sono una sconfitta – ha ricordato – e noi, che abbiamo visto questa crudeltà, questo popolo che difende la sua identità, dobbiamo essere vicini a tanta sofferenza e pregare per questo popolo, pregare perché venga la pace».