In Irlanda si rafforza il fronte in difesa della vita
In Irlanda i giganti del Web dicono no alla pubblicità elettorale per il referendum sulla legalizzazione dell’aborto del prossimo 25 maggio. Con una decisione senza precedenti, dopo i mesi di polemiche sullo scandalo di Cambridge Analitica, Google ieri ha annunciato di voler rifiutare tutte le inserzioni riguardanti la campagna elettorale, da qualsiasi parte del mondo provengano, compresa la stessa Irlanda. Nulla verrà pubblicato in merito sulla propria piattaforma di notizie.
Una misura che viene bollata dalle associazioni pro-life come una forma di «censura ». E che non tiene conto della legge in vigore del Paese, che vieta l’uso di finanziamenti esteri nelle proprie campagne elettorali ma consente ovviamente di utilizzare quelli che provengono da donatori nazionali. Solo il giorno prima, Facebook aveva infatti annunciato di bloccare qualsiasi forma di pubblicità elettorale dall’estero relativa alla campagna referendaria, per scongiurare il pericolo di infiltrazioni di componenti politiche che potessero orientare in un modo specifico gli ultimi giorni prima della delicatissima consultazione.
Il 25 i cittadini della Repubblica d’Irlanda sono chiamati infatti a esprimersi sulla rimozione dell’ottavo emendamento nell’articolo 40 della Costituzione. Introdotto nel 1983, equipara i diritti della madre e del bambino che ha in grembo vietando di fatto di interrompere una gravidanza e rendendo qualsiasi forma di aborto illegale e perseguibile penalmente, a eccezione delle situazioni di rischio per la madre e il bambino, regolamentate da un provvedimento del 2013. L’ultimo sondaggio di Millward Brown, domenica scorsa, dava una situazione di recupero del fronte che si schiera contro l’abolizione del divieto: il 45% degli irlandesi è per l’abrogazione dell’emendamento ma il 34% è per il no (era il 28% poche settimane fa) e il 4% non si esprime. La battaglia si gioca su quel fronte consistente di indecisi che si attesta sul 18%. E che ora rischia di essere tagliato fuori da qualsiasi informazione alternativa a quella tradizionale, quasi del tutto schierata con il «sì». Maria Steen, di Iona Institute, think tank per la famiglia, attivamente impegnato nella campagna referendaria sul fronte per la vita, ha dichiarato ieri pomeriggio in conferenza stampa che «Google ha il dovere di informare su come la campagna sia stata già pesantemente compromessa». Steen si riferisce alla rimozione del 50% delle inserzioni pubblicitarie stradali dei pro-life che secondo una stima fatta dall’organizzazione sarebbero state illegalmente tolte dai fautori del «no», peraltro con un danno economico stimato attorno ai 100mila euro.
Il fronte a difesa della vita vive una evidente penalizzazione in una campagna sbilanciata tutta sul «sì»: a favore della legalizzazione dell’aborto è il governo irlandese a cominciare dal primo ministro, Taioseach Leo Varadkar, e il ministro della Salute Simon Harris, entrambi liberali del Fine Gael. All’esecutivo spetterà promuovere la legge in caso di vittoria del «sì». Di questi ultimi giorni è poi la presa di posizione pro-choice di alcune star di Hollywood di origine irlandese, tra cui la candidata all’Oscar Saoirse Ronan, l’attore franco-irlandese Cillian Murphy e l’attrice della serie Tv Modern family Sarah Hyland. Il primo maggio pure gli U2 hanno dichiarato di essere a favore della rimozione dell’ottavo emendamento e quindi per l’aborto. Ancora aperta è poi la questione del finanziamento di 137mila euro erogato dalla Open Society di George Soros ad Amnesty International Ireland, attivamente impegnata per la legalizzazione dell’aborto. La Sipo (Standard in Public office commission), ente che si occupa di controllare che non vengano ricevuti finanziamenti a scopi politici dall’estero, aveva intimato ad Amnesty di restituire i soldi. Ma Colm O’Gorman, presidente di Amnesty Irlanda, si è rifiutato di farlo dicendo che non sono stati utilizzati per la campagna referendaria.