Il vescovo Maksym Ryabukha fra i fedeli del Donbass - Gambassi
«Sono pastore di una delle diocesi dell’Ucraina più toccate dalle ferite e dalla follia della guerra». Bastano i numeri per confermare quello che dice il vescovo Maksym Ryabukha e raccontare il dramma di una Chiesa sotto assedio. Due terzi dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, di cui monsignor Ryabukha è ausiliare, è occupato dall’esercito russo; la parte libera corre lungo il fronte e comprende le località che sono oggi gli epicentri dei combattimenti: da Bakhmut ad Avdiivka; nessun prete cattolico è rimasto nei territori controllati dalle truppe del Cremlino; due sacerdoti redentoristi sono nelle mani dei militari di Mosca da quasi sei mesi, arrestati a novembre nella città di Berdyansk sul mare d’Azov. E per il presule è vietato entrare nel segmento della diocesi che i russi hanno invaso. Compresa la città del Donbass che dà il nome all’esarcato dove si trovano la Cattedrale e la sede della Curia che per monsignor Ryabukha sono off limits.
Il vescovo Maksym Ryabukha nella parrocchia di Pokrovsk, ultima porta ucraina in direzione di Donetsk - Gambassi
«Qui la guerra fa sentire tutta la sua intensità e il suo orrore», spiega il vescovo. «Nei territori occupati - prosegue - siamo di fronte a un gregge smarrito. La nostra gente è senza guide spirituali e si sente orfana. La mancanza dei sacramenti è un ulteriore motivo di sofferenza che si aggiunge al terrore e al supplizio vissuti sulla propria pelle a causa dell’aggressione russa. I parroci che sono stati costretti a fuggire o sono stati cacciati dagli occupanti mantengono contatti con le comunità. Ma, dal momento che la popolazione è sottoposta a una vigilanza strettissima, ogni messaggio inviato può rappresentare un pericolo per chi è rimasto».
Il vescovo Maksym Ryabukha nella parrocchia greco-cattolica di Pokrovsk - Gambassi
Nelle zone in tutto e per tutto ucraine le urgenze rimangono l’accoglienza degli sfollati e il bisogno di aiuti umanitari. «Come Chiesa siamo chiamati a sostenere i più fragili su cui grava il peso dell’invasione e delle bombe». Poi racconta: «Quando un profugo viene a sapere che la propria casa è stata distrutta o requisita dai russi, è come se gli venisse rubata una fetta della vita». Ma si prova anche a far ripartire le attività ecclesiali. «Il conflitto non mette in pausa la vita - afferma il vescovo -. Non possiamo cedere allo scoramento. Abbiamo ripreso gli incontri, i corsi di formazione, persino i pellegrinaggi come quello a Medjugorje delle scorse settimane dove la maggioranza dei fedeli, in massima parte donne a causa della legge marziale, era costituita da evacuati della città occupata di Melitopol».
Il vescovo Maksym Ryabukha nella parrocchia greco-cattolica di Kramatorsk - Gambassi
Vescovo da dicembre, 42 anni, monsignor Ryabukha ha scelto Zaporizhzhia per abitare. «Perché è la città dove mi è concesso di risiedere più vicina a Donetsk», dice. E in poco più di tre mesi ha percorso 15mila chilometri in auto per andare a visitare le parrocchie anche degli angoli più a rischio e per celebrare la Messa fra i soldati in trincea. «C’è bisogno di portare l’abbraccio paterno di Dio in mezzo al popolo che il Signore mi ha affidato: siano civili, siano militari», sottolinea il presule. Senza tenere conto dei numeri. A Kramatorsk, trenta chilometri dalla linea di fuoco, erano tredici i fedeli in chiesa durante la sua visita; a Pokrovsk, ultima porta ucraina in direzione di Donetsk, trenta i partecipanti alle due giornate di ritiro spirituale che il vescovo ha predicato.
Il vescovo Maksym Ryabukha con un bambino del Donbass nella casa di famiglia - Gambassi
«Alla mia gente ricordo sempre che nessun male può spaventarci se crediamo veramente che Cristo è risorto. Dio non si stupisce della cattiveria umana. Certo, in questo anno di guerra abbiamo toccato con mano quanta oscurità c’è attorno a noi e quanta violenza può opprimere il cuore. Tutto ciò sembra renderci impotenti. Ma il Signore ci ripete che la vita ha sconfitto la morte. Accadrà anche nel nostro martoriato Paese».