Proteste negli Usa contro la pena di morte - Ansa
Se l’iniezione letale fallisce nel suo scopo di uccidere il condannato a morte, è lecito sottoporlo a un secondo tentativo? Su questo dilemma che vorrebbe definirsi morale – se ci fosse qualcosa di moralmente accettabile nel fatto che uno Stato si arroghi il diritto di uccidere un detenuto – dovrà pronunciarsi la Corte Suprema degli Stati Uniti.
Il caso è quello di Kenneth Smith, condannato a morte in Alabama come esecutore di un omicidio commesso nel 1988. Dalla sua cella nel braccio della morte già una volta era stato portato nella stanza delle esecuzioni. Era il novembre del 2002. Per ore era rimasto legato sul lettino, mentre gli incaricati della “procedura” tentavano di inserire l’ago per l’iniezione letale in diverse parti del suo corpo. Invano. Dovettero desistere. Da allora Smith soffre di nausea da stress post traumatico.
Per giovedì prossimo è programmata la seconda esecuzione, che dovrebbe avvenire questa volta con il metodo “innovativo” del gas nitrogeno: morte per asfissia. Gli avvocati di Smith hanno chiesto oggi alla Corte Suprema americana di fermare l’esecuzione appellandosi all’Ottavo emendamento della Costituzione Usa che vieta di comminare pene che comportino crudeltà. Se la condanna venisse eseguita, scrivono, «gli Stati sarebbero liberi di attuare tentativi seriali di esecuzione senza tener conto delle ragioni o delle circostanze dei precedenti tentativi falliti, e del fatto che quei tentativi hanno causato (e continuano a causare) dolore fisico ed emotivo». «Con rispetto - concludono - si chiama tortura». Un caso simile si è verificato solo una volta nella storia americana: era il 1947.
In un altro procedimento, davanti all’11° tribunale circoscrizionale d’appello con sede ad Atlanta, gli avvocati di Smith hanno denunciato come incostituzionale il ricorso al gas. Il Dipartimento carcerario dell’Alabama lo difende come «il metodo di esecuzione più indolore e umano che si conosca». Come se fosse possibile eseguire «con umanità» una condanna a morte. Al condannato verrebbe applicata una mascherina che copre bocca e naso, del tipo di quelle usate per l’ossigeno, collegata a una bombola di nitrogeno puro. Se la maschera non aderisse perfettamente al volto lasciando passare un po’ d’ossigeno, obiettano i legali del condannato, l’agonia si prolungherebbe o addirittura il tentativo potrebbe fallire lasciando danni cerebrali irreversibili. L’uso del gas per l’esecuzione della pena di morte è legale anche in Mississippi e in Oklahoma ma finora non è mai stato applicato.