Foto di un combattente , oggi prigioniero di guerra, sul tavolo della cucina di casa in un villaggio ucraino - Reuters
«Ti auguro pace, mia cara Ucraina». I cartelloni dei bambini del catechismo sono affissi nel seminterrato della Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv. I bombardamenti russi ne hanno fermato la costruzione: il solo luogo completato è la cappella sotterranea, rifugio in caso di attacchi. Con i loro disegni i piccoli sanno guardare oltre la follia di una guerra che domani, venerdì 24 febbraio, taglia il traguardo dei due anni e che da quattrocento giorni si è incagliata.
Nulla a che vedere con le prime settimane dell’invasione russa quando Mosca controllava il doppio del territorio ucraino rispetto a oggi.
Archiviati anche gli assalti di Putin che mangiavano città e regioni al Paese aggredito. Calato il sipario sui successi, prima, della resistenza ucraina che aveva bloccato le colonne di mezzi e uomini alle porte di Kiev e, poi, della controffensiva che aveva restituito alla nazione la quasi totalità della regione di Kharkiv fino a liberare la città di Kherson. Dall’inverno 2022 si è pressoché paralizzato il fronte che parte a sud dal mar Nero, taglia la regione di Zaporizhzhia, transita nel Donbass e raggiunge il confine russo a est nell’ultimo lembo dell’oblast di Kharkiv.
Mille chilometri fortificati con cunicoli, barriere di mine, terrapieni in cemento dove si combatte una guerra di trincea troppo simile a certe pagine di storia del primo conflitto mondiale in cui una linea immaginaria separava gli eserciti rivali. Adesso, però, sembra di essere tornati al punto di partenza tanto da far dire che si prospetta un conflitto senza vincitori e vinti. Se l’invasione russa era cominciata con le incursioni lungo quattro direttrici, ossia a nord verso Kiev, ad est verso Kharkiv, a sud partendo dalla Crimea e a sud-est dal Donbass occupato, negli ultimi giorni l’Ucraina si aspetta che la tenaglia possa ripetersi.
Forse è più paura che reale pericolo. Fatto sta che si torna a ipotizzare una nuova offensiva di terra su Kiev e su Kharkiv. E le frontiere diventano uno spettro da presidiare. Il tutto unito all’escalation di raid dal cielo nell’intera nazione con missili sempre più “invisibili” e droni lanciati in stormi.
Poi ci sono i segnali preoccupanti intorno alla linea di combattimento che divide l’Ucraina libera da quella occupata: dopo la caduta di Avdiivka nei giorni scorsi, i dispacci di Kiev raccontano di altri punti “caldi” su cui premono le truppe del Cremlino: a Kherson per superare il fiume Dnepr; nel villaggio di Robotyne vicino a Zaporizhzhia; a Bakhmut, città persa a primavera nella regione di Donetsk; fra Lyman e Kupiansk, lungo i settanta chilometri che collegano il Donbass alla regione di Kharkiv e che Putin ha dato ordine di conquistare.
«La nuova controffensiva ucraina scatterà nel 2025», annuncia l’intelligence di Kiev. E aggiunge che il 2024 sarà l’anno della difesa a oltranza. Non si tratta solo di un problema di munizioni che mancano, come ripetono i vertici militari invocando il sostegno occidentale. Rischiano di venire meno i soldati. Perché la strategia della tensione targata Mosca, unita all’assenza di una possibilità reale di riconquistare le aree in mano russa, ha spento l’entusiasmo per combattere. Lo sa bene il presidente Zelensky che ha ammorbidito la nuova legge sulla mobilitazione per evitare di finire nel tritacarne dell’impopolarità.
E si fugge dalla precettazione bellica: nascondendosi o tentando di lasciare il Paese in modo clandestino. Fra gli ultimi arrestati un 22enne che per 8mila dollari ha acquistato un falso passaporto italiano che doveva portarlo in Ungheria. La stasi, però, non è nei numeri. A cominciare dai morti. Nessuno sa la cifra esatta: si stima uno “sterminio” di 700mila uomini, fra civili e militari, da entrambe le parti. L’Ucraina ha censito 10mila civili uccisi, in gran parte vittime degli attacchi missilistici.
Poi c’è la distruzione: un milione e 400mila le case rase al suolo o danneggiate, di cui un terzo non riparabili. E la povertà: 8,5 milioni di persone dipenderanno nel 2024 dagli aiuti umanitari, dichiara l’Onu, e sei milioni sono gli sfollati interni, costretti ad abbandonare tutto. Come Sofia Zayets che il 15 febbraio stava fuggendo da un villaggio assediato nei pressi di Kupiansk. Un razzo ha centrato l’auto che doveva salvarla. È morta sulla via della speranza. Era al primo anno di università.