L’ingresso riservato ai funzionari della Commissione Europea a Bruxelles: le nuove nomine del governo Ue avverranno solo due giorni dopo le elezioni del 26 maggio (Ansa)
Chiamati al voto domenica 26 maggio in Belgio sono circa 8 milioni di elettori. Non voteranno soltanto per le elezioni europee, ma anche per il rinnovo dei sei Parlamenti nazionali: federale, della Regione di Bruxelles, delle Fiandre, della Vallonia, e delle comunità francofona e germanofona. In totale, i belgi si troveranno a scegliere tra 366 liste e circa 7.000 candidati. Il sistema belga inoltre non prevede partiti interamente nazionali: le forze politiche sono divise secondo le linee linguistiche. Così nelle Fiandre si vota per i Verdi fiamminghi, i Socialisti fiamminghi Liberali fiamminghi, i cristiano-democratici fiamminghi. E nella parte francofona del Paese si voterà per la «versione» locale di Socialisti, Verdi, Liberali. Alcuni partiti sono esclusivamente locali: i nazionalisti fiamminghi moderati dell’N-Va e l’estrema destra fiamminga del Vlaams Belang.
Per il Belgio il 26 maggio è un Super Sunday, una intensa domenica elettorale: si vota non solo per il Parlamento Europeo, ma anche a livello nazionale e regionale. Un appuntamento in cui è difficile, naturalmente, distinguere i temi più europei da quelli nazionali.
Sul fronte europeo un punto fermo: il Belgio, cuore dell’Ue e sede principali della Commissione e del Consiglio Europeo, resta fermamente europeista. Basti dire che nel più recente Eurobarometro il 75% dei belgi si è detto convinto che il loro Paese trae vantaggi dall’essere nell’Unione Europea (per l’Italia siamo fermi al 41%).
A livello Ue, i belgi si aspettano una maggiore azione sul fronte del terrorismo, dell’ambiente e della migrazione. «Ma l’aspetto europeo – commenta comunque Pierre Baudewyns, politilogo e professore ordinario all’Università di Lovanio – è meno sentito: l’occhio degli elettori è rivolto più che altro al voto nazionale e regionale».
L’umore complessivo non è negativo, se si pensa che il Paese ha una buona crescita economica (prevista all’1,3% per il 2019) e una disoccupazione sempre più bassa (in media nazionale è al 6,4%, nelle Fiandre c’è praticamente piena occupazione), merito anche delle riforme del governo del premier liberale Charles Michel che hanno ridotto il costo del lavoro e la pressione fiscale sulle imprese.
Se ci sono richieste di annullare alcune riforme (come l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni dal 2025), in realtà i due temi principali sono altri: anzitutto clima e migrazione. Nelle scorse settimana migliaia di studenti a Bruxelles hanno disertato le classi in nome alla lotta al riscaldamento del pianeta. Come per coincidenza, nelle ultime settimane soprattutto la capitale è stata afflitta da livelli elevati di polvere sottili, che hanno portato le autorità a raccomandare di usare i mezzi pubblici e lasciare a casa l’auto.
A trarne profitto sono i Verdi: secondo gli ultimi sondaggi sono in crescita, e in testa nella Regione di Bruxelles Capitale (21,5%, con un balzo dell’11% rispetto al 2014), secondi in Vallonia, la regione francofona del sud del Belgio (22%, +13,8% rispetto a cinque anni fa), e si contendono il secondo posto anche nelle Fiandre insieme ai locali cristianodemocratici (Cd&V), entrambi intorno al 14%. «A questo – commenta ancora Baudewyns – si aggiunge l’effetto di recenti scandali di corruzione e distrazione di fondi, che favoriscono invece l’immagine dei Verdi come alternativa più pulita ». L’altro grande tema è quello della migrazione.
Soprattutto i nazionalisti moderati fiamminghi dell’N-Va, guidato dal sindaco di Anversa Bart de Wever, avevano imposto il pugno duro, arrivando anche alla limitazione a massimo 50 domande di asilo trattate al giorno (dichiarata poi incostituzionale dall’Alta corte belga). Una posizione sempre più inasprita fin al punto da provocare, lo scorso dicembre, la caduta del governo di centrodestra guidato da Michel: il premier ha voluto firmare il Patto Onu sulla Migrazione, a quel punto il ministro della Migrazione e l’Asilo, esponente di spicco N-Va, Theo Francken, si è dimesso e il suo partito è uscito dal governo. Michel ha tenuto duro e, benché dimissionario, ha ottenuto la ratifica parlamentare del documento, accentuando la rabbia dell’N-Va. «Se guideremo il governo – ha detto Francken – non applicheremo il Patto».
Una cosa salta agli occhi: a parte l’avanzata dei Verdi un po’ ovunque, per il resto il Paese è sempre più spaccato tra il nord fiammingo e di lingua olandese e il sud di lingua francese. Spaccato sul fronte economico (l’economia e l’occupazione tirano decisamente di più nelle Fiandre), e sul fronte politico: nel Nord il primo partito (nei sondaggi è dato al 27,9%) è l’N-Va, che già governa la regione, segnato, come abbiamo visto, da un forte sentimento anti-migranti. Sul fronte economico, l’NVa, e in generale i partiti fiamminghi, vogliono un maggiore rigore sul fronte delle finanze pubbliche.
L’N-Va è inoltre più tiepido sulle misure contro il cambiamento climatico, soprattutto per ragioni di costi, tanto che si definisce «ecorealista ». Soprattutto, de Wever ha fatto infuriare gli ecologisti affermando che un modo per combattere il riscaldamento climatico è rilanciare l’utilizzo dell’energia nucleare (già ampiamente sfruttata in Belgio). Nella Vallonia francofona, tradizionalmente molto più propensa alla spesa pubblica e a generosi sussidi, il quadro è completamente diverso. Nei sondaggi in testa sono i socialisti (24,7%, ma in calo del 7,3% rispetto al 2014), seguiti come abbiamo visto dai Verdi, mentre i liberali (MR di Charles Michel) che crollano del 7,5% per fermarsi al 18,3% degli ultimi sondaggi. «Mi sale l’angoscia – ha tuonato de Wever durante una trasmissione radiofonica – quando vedo questi sondaggi. In Vallonia quasi il 60% (se a Socialisti e Verdi si aggiunge anche il PTB, Partito dei Lavoratori belgi, di orientamento marxista, dato al 14,8% ndr) votano per la sinistra o l’estrema sinistra».
E già perché, al contrario, nelle Fiandre oltre il 60% vota per il centro-destra o l’estrema destra, se si sommano, oltre all’N-Va, i cristianodemocratici del Cd&V, i liberali dell’Open VLD (14,2%) e l’estrema destra ultranazionalista fiamminga del Vlaams Belang (9,3%). Due mondi, praticamente, che non si parlano, al di là delle differenze linguistiche, con i fiamminghi che sostengono di dover «mantenere» il Sud povero e visto come spendaccione. In gioco è la tenuta del Paese, con i fiamminghi che tornano a parlare di «confederalismo», un parola che vuol dire in sostanza smantellare in massima parte lo Stato belga lasciando solo una tenue cornice senza poteri reali. Anche se, sottolinea Baudwyns, «nessuno pensa a scindere del tutto il Belgio, che sarebbe un’operazione complicatissima».
Certo è che l’N-Va ha detto che non parteciperà a un nuovo governo federale che includa partiti di sinistra (socialisti o Verdi), se non per negoziare appunto il confederalismo. E il problema è che se i numeri saranno quelli dei sondaggi, una riedizione della coalizione quadripartitica di governo caduta a dicembre (Liberali francofoni, liberali fiamminghi, cristianodemocratici fiamminghi e N-Va) non avrebbe i numeri per una maggioranza. Il che lascia presagire che nuovi negoziati di governo saranno decisamente complicati. Ancora vivo è lo stallo dopo le elezioni del 2010, quando i partiti non riuscirono a formare un governo per ben 541 giorni.