Un seggio in una delle regioni ucraine occupate dai russi - undefined
Dalle urne doveva uscire un plebiscito a favore della Russia nelle terre sottratte all’Ucraina. E soprattutto a favore di Vladimir Putin che aveva dato ordine di conquistare quei comprensori o, stando alla narrazione del Cremlino, di «liberare». E così è stato. Le percentuali a favore del presidente uscente che sono uscite dalle «quattro nuove regioni russe», come Mosca le chiama, sono da record. E sopra la media nazionale. Come a dire: nelle zone occupate c’è voglia di Russia e del suo “zar”. Nell’oblast di Donetsk Putin ha ottenuto il 95%, in quella di Lugansk il 94%. Sono le due «Repubbliche popolari» da cui nel 2014 è cominciata l’aggressione all’Ucraina facendo leva sui gruppi filorussi. Nelle altre due regioni invase due anni fa, all’inizio della guerra, l’inquilino del Cremlino si è aggiudicato il 93% a Zaporizhzhia e l’88% a Kherson. Anche i dati sull’affluenza risultano al di sopra di quelli dell’intera Federazione russa: dall’87% di Lugansk all’83% di Kherson.
Tutto nelle previsioni: dalla riconferma ai boom “ucraini”. E tutto facile da alterare. Perché nessuno è in grado di stabilire il numero esatto degli abitanti nell’Ucraina invasa dopo le fughe di massa o i trasferimenti forzati nella Federazione russa. E perché il voto è stato segnato da minacce, urne entrate di casa in casa insieme ai militari, pressioni delle autorità insediate da Mosca. Ad Avdiivka, la cittadina del Donbass che Putin ha chiesto all’esercito di annettere prima del voto e che è caduta in mano russa a metà febbraio, il seggio è arrivato a bordo di un’auto militare fra le macerie di case e condomini, accompagnato da filmati in stile Istituto Luce che inneggiavano alla «voglia di pace e di votare dopo la liberazione». E Avdiivka è stata citata dal leader russo nel discorso della vittoria spiegando che «occorre fare di tutto per sostenerne le persone liberate».
La bandiera russa a un seggio volante in Donbass - Ansa
«Non c’è legittimità in questa simulazione elettorale e non può esserci», ha tuonato il presidente Volodymyr Zelensky nel suo messaggio quotidiano alla nazione. E ha descritto Putin come un «malato di potere» che vuole «regnare in eterno». Poi lo ha definito «dittatore russo» che «dovrebbe finire davanti alla corte internazionale dell’Aia». Secondo il capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, «qualunque il risultato riportato dalla Commissione elettorale centrale russa è falso» perché «le elezioni non si sono svolte nelle regioni di frontiera» dove «in un gran numero di seggi non c’è stata la possibilità di contare le schede» a causa degli «gli attivisti che, rendendosi conto della viltà di queste elezioni, le hanno intralciate». Il riferimento è agli attacchi dei sabotatori anti-Putin che sono penetrati dall’Ucraina nelle oblast russe di Kursk e Belgorod e che sono state le menti di bombardamenti, raid di droni, incursioni via terra. Un «incubo», a detta dei combattenti del Corpo dei volontari russi, della Legione della libertà della Russia e del Battaglione siberiano, che «ha incendiato i confini» e costretto i governanti di Belgorod a «chiudere i seggi». A tutto ciò si sono aggiunti stormi di droni verso Mosca e attacchi nelle città occupate.
Insieme al suo trionfo, Putin ha esibito anche l’ultimo trofeo di guerra: la conquista del villaggio di Mirnoye intorno a Zaporizhzhia, annunciata dal ministero della Difesa russo poco prima della chiusura delle urne. E poi la ritorsione: con il lancio di droni verso Odessa che hanno danneggiato aziende agricole e infrastrutture e con i bombardamenti nelle regioni di Kharkiv, Sumy, Donetsk e Mykolaiv dove una donna è morta e sei persone sono rimaste ferite, fra cui un bambino.