Mangia una caramella dietro l’altra Milena. Il berretto fucsia nasconde i capelli biondi. «Quando qualche coetaneo me li tocca, lo picchio», taglia corto la ragazzina di 11 anni. Il suo modo di fare sembra quello di un bulletto. Ma dietro l’atteggiamento spavaldo e lo sguardo tagliante che gli occhi azzurri esaltano c’è ben altro. E lei lo racconta con distacco, mentre cammina lungo il marciapiede ancora invaso dai detriti delle case e dei negozi affacciati su una delle strade principali di Izyum: via Soborna. È tutta bombardata: i condomini, il palazzo della cultura, i chioschi dei bar, le fermate dei bus.
Milena, la ragazza di 11 anni che ha visto morire la sorella in una scuola bombardata di Izyum - Gambassi
«Mia sorella è morta nei sotterranei di quella scuola», dice Milena indicando uno scheletro annerito dove le aule sono soltanto cumuli di calcinacci. Non c’è traccia del tetto. «Correva per strada. E si è rifugiata lì dentro. Poi tutto è crollato per i bombardamenti. Si chiamava Ania». Aveva la stessa età che ha adesso Milena: 11 anni. Perché la morte risale ai mesi dell’occupazione russa, all’inizio della guerra. «L’ambulanza non è arrivata. E lei non ce l’ha fatta».
La distruzione nel centro di Izyum, la città nell'estremo oriente dell'Ucraina dove è stata scoperta la più grande fossa comune - Gambassi
I missili e la devastazione che continuano a segnare il suo quotidiano hanno anestetizzato il dolore e i sentimenti di una ragazzina che non ha mai lasciato la città. La città martire nell’ultimo lembo della regione di Kharkiv, rimasta in mano russa per sei mesi, fino alla liberazione nel settembre 2022, e ridotta in macerie dall’esercito di Mosca. La città della più grande fossa comune scoperta in due anni d’invasione: 449 corpi nascosti nel bosco. «Resto qui», ripete Milena. Rimane la sua famiglia. Rimangono in 27mila a Izyum benché tutti siano consapevoli che questa località dell’estremo oriente dell’Ucraina sia nel mirino del Cremlino. Il fronte è a quaranta chilometri dove le truppe di Mosca stanno tentando l’assalto a Kupiansk, crocevia fra la Russia, Kharkiv e il Donbass. Se Kupiansk dovesse cadere, la tappa successiva sarebbe proprio Izyum da cui i soldati di Putin punterebbero verso la metropoli di Kharkiv.
La distruzione nel centro di Izyum dove è stata scoperta la più grande fossa comune - Gambassi
«Siamo una comunità che ha paura. Inutile nasconderlo», spiega la direttrice della biblioteca comunale, Oksana Savorodnia. «E non riesce a risorgere», aggiunge. Il presente resta ancorato agli orrori del passato e non ha la possibilità di cancellarli con la minaccia di Putin che incombe. «Sappiamo che possono tornare arrivando da Kupiansk», ammette la donna. Il soggetto è implicito: i militari russi. «Veniamo bombardati senza sosta». La scorsa notte è stata colpita con i droni una delle scuole e il custode è rimasto ferito. «Comunque - prosegue la direttrice - ci impensierisce di più il silenzio rispetto agli attacchi. Quando tutto tace, significa che il nemico sta preparando qualcosa. Confidiamo nel nostro esercito: farà di tutto per proteggersi».
La direttrice della biblioteca comunale di Izyum, Oksana Savorodnia - Gambassi
Lei definisce Izyum «la città della sofferenza e della disintegrazione». E a ragione. A parte il municipio che è già un cantiere, il resto rimane così com’era quando i soldati ucraini sono entrati in città e ne hanno fatto uno dei trofei della prima controffensiva voluta da Kiev, l’unica che ha avuto risultati concreti. Non c’è lavoro. Si sopravvive con gli aiuti umanitari. Mancano i farmaci. «E non c’è voglia di ricostruire - confida Oksana -. La situazione è troppo instabile. Voltare pagina è impossibile con la linea di combattimento così vicina e le voci che circolano».
La distruzione nel centro di Izyum, la città nell'estremo oriente dell'Ucraina dove è stata scoperta la più grande fossa comune - Gambassi
Lo sa bene Julia Cosak. Ha trent’anni, è al quinto mese di gravidanza e vive nella sua «casa un po’ distrutta», come la descrive. È stata bersagliata dai colpi d’artiglieria e dai razzi. Non ha più finestre e tetto. «Certo che c’è preoccupazione - avverte -. Non sai che cosa potrà accadere. Siamo pronti anche al peggio». Ha resistito quattro mesi sotto occupazione. «Poi sono fuggita con mio figlio di 5 anni». Impossibile passare quel confine di fuoco che divideva l’Ucraina libera da quella invasa dall’esercito di Mosca. «Così sono finita in Russia e ho fatto il “giro”». Espressione che racchiude migliaia di chilometri percorsi nel territorio nemico per approdare in Europa. «Sono stata in Lituania». E da lì di nuovo a Izyum. «Ho la mamma e la nonna. Soprattutto ho la casa». E il padre del secondogenito che partorirà. «Non qui. Non ci sono le condizioni di sicurezza. Andrò a Kharkiv. Un nuovo figlio è un segno di speranza. Se Dio me l’ha donato, lo leggo come una grazia in mezzo a questa tragedia».
Julia Cosak, trent’anni, con il compagno, al quinto mese di gravidanza - Gambassi
Sono 1.700 i bambini in città. «Hanno traumi e problemi psicologici - riferisce Oksana -. I genitori li fanno uscire pochissimo. E il loro mondo è uno schermo del computer». Da lì passa anche la scuola. «Ti dicono che non vedono l’ora di tornare in classe. Ecco perché ho riaperto la biblioteca». È al piano rialzato di un condominio trafitto di colpi. Al posto delle finestre i pannelli di legno. «I locali erano stati danneggiati dalle esplosioni. Ricordo ancora i volumi anneriti che d’inverno la gente prendeva per accendere il fuoco quando non c’erano elettricità e riscaldamento». Una parte li ha recuperati. Altri se l’è fatti donare. Anche dall’Italia, attraverso il ponte con la Chiesa greco-cattolica.
Una delle case bombardate a Izyum che restano così da un anno e mezzo - Gambassi
«Non voglio che cresca una generazione abbandonata. Almeno i ragazzi hanno un luogo in cui incontrarsi», afferma la direttrice. Intorno agli scaffali. I pochi ancora intatti custodiscono testi in ucraino e russo. «Una recente legge impone di rimuovere i volumi in russo; ma ci sono anche norme che tutelano le minoranze linguistiche. Qui valorizziamo la letteratura ucraina. Però se qualcuno, soprattutto più anziano, ci chiede un libro in russo, perché non lo dovremmo accontentare? Siamo un Paese che lotta per la libertà. E la cultura non può avere confini».