Murale nel centro della capitale uruguagia, Montevideo - Ansa
L’hanno sempre soprannominato la “Svizzera dell’America Latina”. Stavolta, però, l’allievo Uruguay ha battuto di gran lunga il maestro. Mentre la Confederazione elvetica ha registrato oltre 34mila casi di Covid, il Paese latinoamericano si è fermato a 847. Non solo. Ancora entro i confini svizzeri si registrano una manciata di contagi al giorno. Dal 4 giugno, invece, l’Uruguay ha raggiunto «quota zero»: nessun nuovo malato segnalato da più di una settimana. Le vittime sono finora ventitré. Certo, si tratta di una nazione piccola e poco popolata: gli abitanti sono 3,5 milioni. In prospettiva, però, il tasso di mortalità è 0,6 ogni 100mila persone, contro il 12,2 del Brasile, il 4,5 del Cile e l’1,1 dell’Argentina, sull’altra riva del Rio de la Plata. Secondo i dati preliminari del ministero della Salute, addirittura, nei primi due mesi di epidemia – dal 13 marzo al 17 maggio – ci sono stati oltre 1.500 decessi in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E la riduzione della mortalità generale sembra proseguire nelle ultime settimane. Il tutto mentre i Paesi vicini – Brasile in testa – affrontano il momento più drammatico della pandemia, di cui il Continente è ormai epicentro, come continua a ripetere l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). L’eccezione uruguayana risulta ancor più sorprendente alla luce della strategia adottata da Montevideo. Il governo del neo-presidente Luis Lacalle Pou si è rifiutato di decretare la quarantena obbligatoria, nonostante le pressioni dell’opposizione e dell’ex presidente Tabaré Vázquez, tra l’altro un medico.
Quando è stato registrato il primo episodio di contagio – il 13 marzo –, Lacalle Pou era entrato in carica da due settimane, primo rappresentante conservatore dopo quindici anni di centro-sinistra. Per prima cosa, il presidente ha creato una commissione speciale di consulenti scientifici per la gestione dell’emergenza. Come quasi ovunque in America Latina, inoltre, ha chiuso le frontiere e sospeso lezioni, funzioni religiose, eventi sportivi e manifestazioni artistiche. A differenza degli altri, però, Montevideo non ha imposto il confinamento obbligatorio, bensì ha invitato i cittadini – con una forte campagna di sensibilizzazione – a restare a casa. E, secondo le ultime rilevazioni, il 90 per cento l’ha fatto, seppure oltre un terzo non ha rinunciato alle riunioni con i familiari. Gli esercizi commerciali e le attività economiche si sono, in gran parte, fermati. Il perno del piano uruguayano è stata la rilevazione a tappeto e a domicilio: sono stati effettuati 41mila test ovvero il triplo per milione di abitanti rispetto ad Argentina, Brasile e Paraguay. Le autorità hanno cercato di ridurre al minimo il ricorso agli ospedali, per evitare che divenissero essi stessi focolai di infezione, promuovendo l’assistenza porta a porta. Il successo della strategia Lacalle è stata favorita da due fattori fondamentali. In primo luogo, quasi il cento per cento degli uruguayani ha accesso all’acqua potabile, il che ha reso possibile applicare almeno le più elementari regole di prevenzione. L’opposizione, in aggiunta, nonostante le iniziali perplessità, ha sostenuto il piano sanitario del governo.
Perché, come ha spiegato uno dei suoi leader, il senatore Carlos Mahía, «possiamo dividersi sulla politica economica non sulla lotta al virus». La sintonia ha consentito l’approvazione in tempi rapidi di un fondo speciale per l’emergenza, finanziato con un taglio del 20 per cento degli stipendi del presidente, dei ministri, dei parlamentari e degli impiegati pubblici con salari mensili superiodi ai 1.800 dollari. Quei soldi hanno consentito di dare un introito ai lavoratori informali, in modo da consentire loro di fermarsi. Mentre il resto del Continente si prepara al picco nelle prossime settimane, Montevideo è in piena fase due. Le scuole stanno riprendendo a funzionare, a cominciare da quelle rurali. E, pian piano, uffici pubblici e economia tornano a pieno regime. Ad agosto, potrebbe addirittura riprendere il campionato. Del resto, un vecchio proverbio latinoamericano lo insegna: «Como el Uruguay no hay» (Come l’Uruguay non ce n’è).