Santa Sofia a Istanbul - Ansa
Due settimane per decidere il futuro di Santa Sofia. Di fronte a una responsabilità che pesa come un macigno, il Consiglio di Stato turco prende tempo e annuncia un verdetto per iscritto entro 15 giorni sulla richiesta di riconvertire in moschea il monumento simbolo di Istanbul, che da 85 anni è un museo per volere del padre della patria Mustafa Kemal Ataturk, dopo essere stato basilica cristiana per quasi un millennio e luogo di culto islamico con la presa ottomana nel 1453.
L'attesa udienza di ieri davanti ai giudici della decima sezione del massimo tribunale amministrativo di Ankara è durata appena una mezz'ora, giusto il tempo di ascoltare le argomentazioni dell'Associazione per la protezione dei monumenti storici e dell'ambiente. Secondo il suo avvocato, Selami Karaman, la trasformazione in museo ha violato il "diritto di proprietà" del sultano Maometto II e dei suoi eredi, che sarebbe stato acquisito con la conquista di Costantinopoli. Per la procura lo status del monumento più visitato in Turchia dipende solo dalle decisioni del governo, come avvenuto con il decreto di Ataturk, che quindi non va toccato. Casomai, spetterebbe all'esecutivo modificarlo. Un assist indiretto al presidente Recep Tayyip Erdogan, che in passato aveva promesso di riportare l'edificio alla funzione di luogo di preghiera islamica, e ora potrebbe rivendicarne l'autorità anche a fronte di una pronuncia contraria dei giudici. In ogni caso, dopo il verdetto sarebbe necessario un ulteriore intervento normativo.
Insieme alla battaglia in tribunale, prosegue quella politica, con il deciso botta e risposta fra Turchia e Stati Uniti, dopo che il segretario di Stato Mike Pompeo ha chiesto di non toccare Santa Sofia. Piccata, Ankara ha replicato evocando la sua "sovranità" sull'edificio e respingendo ogni "interferenza" esterna. Ma la comunità ortodossa continua a lanciare l'allarme, dopo che la Grecia si era già appellata all'Unesco perché intervenisse a tutela di un luogo riconosciuto come Patrimonio dell'umanità. Un braccio di ferro destinato a durare fino alla pronuncia del Consiglio di stato, attesa comunque prima del 15 luglio, la data simbolica del quarto anniversario del fallito golpe in Turchia. Difficilmente ci sarà il tempo per una modifica formale, ma per Erdogan, bisognoso di rimpolpare i suoi consensi, potrebbe cascare a pennello per un annuncio da ricordare.