Donald Trump - Reuters
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non è una sorpresa. Quello che era inaspettato e fuori dai radar dei sondaggi riguarda invece la dimensione del suo successo. Il leader repubblicano si è conquistato un trionfale secondo mandato, sbaragliando la sua avversaria non solo negli Stati cosiddetti in bilico ma anche, nettamente, nel voto popolare nazionale. La probabile conquista della maggioranza nei due rami del Congresso gli consegna un potere enorme, dato che controlla in modo ferreo il partito e, soprattutto, i nuovi eletti alla Camera e al Senato sono per la gran parte suoi fedelissimi, pronti a seguirlo in qualsiasi “avventura”.
Come si spiega una vittoria netta e non prevista di questa portata? A caldo, è difficile non ripetere tutti i motivi per cui già alla vigilia si immaginava che metà degli americani potessero votare a favore di Trump. Alla luce dei dati che si stanno consolidando in queste ore, si può forse aggiungere che è prevalsa la sfiducia in una candidata, Kamala Harris, incapace di accreditarsi – in poco tempo, va detto - come Comandante in capo sufficientemente affidabile ed autorevole, portatrice di un programma tranquillizzante e di continuità, tuttavia vago e non adatto a suscitare quel “sogno” che premiò Barack Obama.
Sembra paradossale, eppure Trump è stato probabilmente considerato l'usato sicuro, con esperienza da leader, capace di innescare un cambiamento che possa andare a beneficio di una variegata componente dell'America profonda. Il nuovo presidente sa parlare a tutti coloro che, quando vanno alle urne, non considerano scenari globali e conseguenze di lungo termine che possano discendere dalla propria scelta. Il suo messaggio urlato ma chiaro ha raggiunto chi vota pensando ai rincari che ha appena sperimentato al centro commerciale o allo straniero irregolare che minaccia di sottrarre il posto di lavoro a qualche amico. O chi ha ritenuto che anche una figura più che controversa può difendere alcuni valori cristiani, contestati apertamente dall’altro schieramento. Lo si sarebbe potuto capire osservando le dinamiche dei social media, le uniche che in questi mesi segnalavano il vantaggio accumulato dallo sfidante repubblicano.
Un supporter di Donald Trump - .
Inutile chiedersi oggi come sarebbe andata con Joe Biden al posto di Harris. Resta però il fatto che il traumatico cambio in corsa imposto dall'élite del partito democratico ha messo la campagna del vicepresidente subito in salita. Non sappiamo se sia ancora troppo presto per avere una donna al vertice degli Stati Uniti, oppure se abbia pesato la condotta sciagurata nella selezione del rivale di Trump. In ogni caso, tutti i difetti che dall'Europa vediamo incarnati nel nuovo inquilino della Casa Bianca non sono tali agli occhi di oltre il 50% degli elettori Usa. Economia, migranti e aborto hanno con buona probabilità giocato a favore dei repubblicani, in un mix che caratterizzerà anche i prossimi quattro anni. Quello che sembra incoerente - difendere la vita e pianificare una deportazione di massa di chi ha già varcato il confine - non lo è per un’Amministrazione da gennaio chiamata a mettere in atto un programma ambizioso e, per alcuni aspetti, preoccupante.
L’esito di questo 5 novembre pare abbia comunque evitato una ulteriore crisi della democrazia a stelle e strisce: non ci saranno ricorsi legali né proteste di piazza. Resta la netta frattura fra due Americhe. Dal prossimo gennaio potremmo capire se Trump terrà fede ai suoi annunci più radicali, aggravando le divisioni, o proverà a passare alla storia ottenendo qualche risultato di portata tale da fare dimenticare gli aspetti più discutibili della sua persona e del suo governo.
Vissute dall’Italia, le attese maggiori sono per le scelte sulla guerra in Ucraina e in Medio Oriente. Dialogherà con Putin? Ridurrà l’appoggio a Zelensky? Darà carta bianca a Netanyahu? E terrà fede all’isolazionismo climatico e economico? Per l’Europa ci sarà da fare i conti con un orientamento politico e culturale che potrebbe mettere in difficoltà l’Unione soffiando nelle vele dei sovranismi e dei populismi da una parte, innescando una guerra commerciale e lasciando più sguarnita la Nato dall’altro.
Non si dimentichi, infine, che vi sarà anche un secondo vicepresidente ombra (insieme a quello ufficiale JD Vance), l’uomo più ricco e visionario del mondo: Elon Musk. L’imprenditore-inventore padrone di X è stato tra gli artefici della cavalcata trumpiana, adesso è desideroso di innescare la “disruption” che, a suo avviso, renderà davvero di nuovo grande l’America. Con mille incognite, se sarà così, e a spese di chi, ormai lo scopriremo presto.