sabato 30 settembre 2023
Kim Aris non vede la mamma dal golpe del febbraio 2021: la grazia parziale che le hanno concesso è stato solo «un gesto insignificante della giunta per cercare di compiacere» l'Occidente
Kim Aris con la madre Aung San Suu Kyi

Kim Aris con la madre Aung San Suu Kyi - Web

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Non a mai voluto essere una figura pubblica né un leader politico. Forse perché proprio la lotta per un Myanmar democratico ha costretto la madre, Aung San Suu Kyi, a rinunciare a vederlo crescere. A 46 anni, ora, però, Kim Aris, figlio minore della consigliera di Stato deposta (una sorta di premier), ha deciso di lanciare un grido di aiuto al mondo e all’Italia, dove si trova in questi giorni, ospite dell’Associazione per l’amicizia Italia Birmania Giuseppe Malpeli e della sua rappresentante, Albertina Soliani, da sempre in prima linea per la libertà di questo Paese schiacciato dal pugno di ferro dei militari. «Per prima cosa, chiedo alla comunità internazionale di rendere più mirate ed efficaci le sanzioni contro i golpisti. Di riconoscere il governo “ombra” di unità nazionale e di sostenerlo, come pure di aiutare le organizzazioni umanitarie. La situazione è disperata. Infine, chiedo di non dimenticare mia madre e migliaia di altri donne e uomini ostaggio di un sistema ingiusto per la sola colpa di difendere i diritti propri e di tutti».
Da quando non vede Aung San Suu Kyi?
Da prima del colpo di Stato del primo febbraio 2021. Poi non mi è stato consentito di avere alcun contatto con lei. Ogni richiesta presentata negli ultimi due anni e mezzo è stata respinta. Mi hanno riferito, però, che sta male. Non può mangiare perché ha di un’infezione alle gengive e a un dente del giudizio. Soffre di vomiti continui e vertigini che non le consentono di stare in piedi e di camminare.
Il primo agosto la giunta ha concesso una grazia parziale a sua madre. Pensa che si tratti di un segno di “ammorbidimento” da parte dei militari?
È stato un gesto insignificante per cercare di compiacere la comunità internazionale e il popolo birmano. Se dovesse scontare l’intera pena, Aung San Suu Kyi tornerebbe libera a oltre cento anni, se mai accadrà… In realtà, la giunta sta ulteriormente irrigidendo le proprie posizioni man mano che si approfondiscono le divisioni interne. È aumentato l’uso della violenza contro la propria popolazione civile. Le esecuzioni, gli arresti, le torture, gli abusi, gli stupri sono continui e documentati. Bombardano interi villaggi, distruggendo scuole, ospedali, luoghi di culto. Impiegano perfino ordigni a grappolo, vietati a livello internazionale. Negli ultimi sei mesi ci sono stati più di due attacchi aerei al giorno in zone abitate dai civili. E la situazione è destinata a peggiorare poiché la Russia ha di recente fornito alle forze armate nuovi velivoli da combattimento.
Che cosa intende per sanzioni più efficaci da parte della comunità internazionale?
Spesso le famiglie dei militari vivono all’estero dove hanno conti bancari. Questi andrebbero congelati e andrebbe colpito chi fa affari con loro. Poi c’è la questione degli aiuti. La giunta li ha trasformati in un’arma di guerra per ottenere fedeltà. Per questo, i soccorsi dovrebbero passare per le organizzazioni internazionali e per il governo ombra che hanno davvero accesso alle aree più colpite. A fine ottobre lancerò una raccolta fondi, di cui darò informazioni su Instagram. C’è, poi, un altro modo in cui la comunità internazionale potrebbe dare un aiuto importante.
Quale?
Smentire in modo netto la falsa narrativa del silenzio di mia madre, quando era consigliera di Stato, nei confronti dei massacri dei Rohingya. La sua stessa presenza all’Aja nel 2019 dimostra l’intenzione di volersi occupare direttamente della questione, non di nasconderla. Invece di condannare i militari per la persecuzione dei Rohingya, il mondo ha preferito condannare Aung San Suu Kyi per avere cercato di risolvere una situazione molto complessa in modo pacifico e diplomatico in modo da evitare ulteriori orrori.

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