mercoledì 18 giugno 2014
Lettera di richiamo al governo: «La condanna a morte della ragazza per apostasia è in contrasto con la Costituzione del Sudan, che prevede la libertà di culto per tutti i cittadini».
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La Commissione nazionale per i Diritti umani sudanese si schiera a fianco di Meriam, la ragazza cristiana accusata di apostasia per la quale è in coso un'ampia mobilitazione internazionale, la quale ha visto in prima fila in Italia i lettori di Avvenire.«La condanna a morte di Meriam per apostasia è in contrasto con la Costituzione del Sudan, che prevede la libertà di culto per tutti i cittadini». Sollecitata dall'organizzazione Italians for Darfur, la Commissione si è pronunciata con una lettera in cui si cita l'articolo 38 della Carta sui Diritti Umani contenuta nella Costituzione transitoria sudanese del 2005. Qui si stabilisce che "tutti hanno il diritto alla libertà di credo e di culto e hanno il diritto di dichiarare la propria religione e di esprimerla attraverso l'insegnamento, la pratica e il culto".La Commissione afferma di aver "monitorato" il caso della ragazza, condannata a morte per apostasia perché, figlia di un musulmano, ha sposato un cristiano. E scrive di essersi riunita d'urgenza, di aver preso atto degli articoli diffusi dai media nazionali e internazionali sul suo caso e di aver visitato in carcere la donna. "La Commissione - si legge nella lettera - consiglia al governo del Sudan di agire in conformità con i trattati costituzionali e internazionali di cui è membro e le convenzioni sottoscritte e di rispettare la Carta dei Diritti contenuta nella Costituzione ad interim e i diritti garantiti a ogni sudanese, in accordo con i principi internazionali che regolano i diritti umani"La Commissione rimarca inoltre un "trattamento non professionale" del caso giudiziario di Meriam che potrebbe "gettare ulteriore cattiva luce" sul caso stesso. Specialmente in considerazione che ci sono ancora gradi di giudizio che non sono estinti.Secondo la presidente di Italians for Darfur, la giornalista Antonella Napoli, si tratta di "un segnale importante che indica un percorso chiaro, l'annullamento della sentenza emessa in primo grado". Meriam (questo il nome da sposata), il cui vero nome è Abrar Allahi Mohammed Abdallah, nata da padre musulmano, 27 anni, è stata condannata a morte il 15 maggio da un tribunale criminale sotto la legge islamica che vieta le conversioni per aver sposato un cristiano. Già madre di un bambino di 20 mesi, è stata anche condannata a 100 frustate per "adulterio", perché secondo l'interpretazione sudanese della sharia, qualsiasi unione tra un musulmano e un non musulmano è considerata "adulterio". Di recente Meriam ha partorito una bambina in cella e solo ieri è stata liberata delle sue catene.
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