La Commissione nazionale per i Diritti umani sudanese si schiera a fianco di Meriam, la ragazza cristiana accusata di apostasia per la quale è in coso un'ampia mobilitazione internazionale, la quale ha visto in prima fila in Italia i lettori di Avvenire.«La condanna a morte di Meriam per apostasia è in contrasto con la Costituzione del Sudan, che prevede la libertà di culto per tutti i cittadini».
Sollecitata dall'organizzazione Italians for Darfur, la Commissione si è
pronunciata con una lettera in cui si cita l'articolo 38 della
Carta sui Diritti Umani contenuta nella Costituzione transitoria
sudanese del 2005. Qui si stabilisce che "tutti hanno il diritto
alla libertà di credo e di culto e hanno il diritto di
dichiarare la propria religione e di esprimerla attraverso
l'insegnamento, la pratica e il culto".La Commissione afferma di aver "monitorato" il caso della
ragazza, condannata a morte per apostasia perché, figlia di un
musulmano, ha sposato un cristiano. E scrive di essersi riunita
d'urgenza, di aver preso atto degli articoli diffusi dai media
nazionali e internazionali sul suo caso e di aver visitato in
carcere la donna. "La Commissione - si legge nella lettera -
consiglia al governo del Sudan di agire in conformità con i
trattati costituzionali e internazionali di cui è membro e le
convenzioni sottoscritte e di rispettare la Carta dei Diritti
contenuta nella Costituzione ad interim e i diritti garantiti a
ogni sudanese, in accordo con i principi internazionali che
regolano i diritti umani"La Commissione rimarca inoltre un
"trattamento non professionale" del caso giudiziario di Meriam
che potrebbe "gettare ulteriore cattiva luce" sul caso stesso.
Specialmente in considerazione che ci sono ancora gradi di
giudizio che non sono estinti.Secondo la presidente di Italians for Darfur, la giornalista
Antonella Napoli, si tratta di "un segnale importante che indica
un percorso chiaro, l'annullamento della sentenza emessa in
primo grado".
Meriam (questo il nome da sposata), il cui vero nome è Abrar
Allahi Mohammed Abdallah, nata da padre musulmano, 27 anni,
è stata condannata a morte il 15 maggio da un tribunale
criminale sotto la legge islamica che vieta le conversioni per
aver sposato un cristiano. Già madre di un bambino di 20 mesi, è
stata anche condannata a 100 frustate per "adulterio", perché
secondo l'interpretazione sudanese della sharia, qualsiasi
unione tra un musulmano e un non musulmano è considerata
"adulterio". Di recente Meriam ha partorito una bambina in cella
e solo ieri è stata liberata delle sue catene.