giovedì 9 giugno 2022
Raccogliere la sofferenza più intima delle vittime e trasformarla in dossier di denuncia è il compito che Kiev ha affidato a una speciale forza mobile della polizia, con tre squadre specializzate
Una bambina tra le macerie della sua città distrutta

Una bambina tra le macerie della sua città distrutta - Ansa

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Quella notte, la seconda dall’occupazione, Yevgenya era chiusa, come tutti, nella sua casa di Bohanidvka, piccolo villaggio del distretto di Brovary, a una ventina di chilometri da Kiev. Insieme a lei, il marito e il figlio di quattro anni. Erano poco dopo le 21, quando un gruppo di soldati russi ubriachi ha fatto irruzione e ha aperto il fuoco sull’uomo. Yevgenya è stata ripetutamente violentata prima di riuscire a fuggire, insieme al bimbo.

La storia è contenuta in uno dei dossier nelle mani della Procura generale di Kiev. Secondo quest’ultima, l’uomo che avrebbe guidato il manipolo di militari è Mikhail Romanov, originario della russa Cherbakul e militare del 90esimo reggimento della divisione Vitebsk-Novgorod. Il soldato, dalla settimana scorsa, è il primo imputato per «stupro di guerra» in Ucraina. Il caso, però, è, secondo le autorità, appena la punta dell’iceberg. La storia del conflitto – affermano – è popolata da tante, troppe Yevgenya. «Quante sono? Non lo sapremo mai. Già in tempo di pace è il crimine più nascosto. Posso dire, però, che la violenza sessuale è stata impiegata ripetutamente come arma di guerra dalle truppe di Mosca».

Katerina Pavlichenko, 33 anni non ancora compiuti e una carriera da capitano di polizia, è determinata a dare un volto e un nome a questi ultimi. «E, soprattutto, giustizia alle vittime», aggiunge la viceministra degli Affari interni, responsabile dell’implementazione delle politiche di genere e della prevenzione della violenza domestica.

La sfida è enorme. Ovunque, nei villaggi liberati, i sopravvissuti parlano a mezza voce di abusi da parte degli occupanti su giovani e meno giovani. «Ma sono cose che le donne si confidano l’un l’altra, sussurrando», spiega un residente di Andriyuvka, 70 chilometri ad ovest di Kiev, dopo aver raccontato di un caso riferitogli dalla moglie.

Trasformare le confessioni intime in casi giudiziari è il compito che il ministero degli Affari interni ha affidato a una speciale forza mobile della polizia nazionale. Tre squadre, con 15-20 agenti ciascuna, altamente specializzati, incaricati di «battere a tappeto» gli oblast di Kiev, Sumy e Cherniguiv per portare alla luce le violenze sessuali avvenute e garantire sostegno a chi le ha subite.

«Il primo a entrare in azione, il 18 aprile, è stato il gruppo della regione della capitale che ha già ispezionato ventuno città e villaggi e individuato tredici vittime. Tre settimane dopo si è aggiunta la squadra di Sumy e, dal 31 maggio, quella di Cheniguiv. Presto contiamo, inoltre, di avere una task force anche a Mykolayev», sottolinea Pavlichenko nell’ufficio in fondo ai meandri kafkiani del ministero, a poca distanza dal palazzo presidenziale. E aggiunge: «I poliziotti non si limitano a visite mordi e fuggi. Vivono nelle comunità, parlano con le persone in modo da creare un legame di fiducia. In genere, il più delle volte, le segnalazioni arrivano da vicini che hanno visto qualcosa e aiutano a entrare in contatto con la vittima. Quest’ultima deve sentirsi a suo agio per poter parlare. L’ultima cosa che vogliamo è violentarla una seconda volta».

La strategia sta dando i primi risultati. Le squadre hanno ricevuto, in totale, cinquanta denunce e le stanno valutando. Al momento, i casi aperti e inviati alla Procura generale sono diciassette, alcuni riguardano anche adolescenti. Numeri "bassi" se confrontati con i 15mila dossier di presunti crimini di guerra aperti da Kiev. «I dati si riferiscono solo alle indagini della polizia nazionale. Ma queste ultime non sono le uniche. I servizi di sicurezza hanno un filone di inchiesta autonomo e stanno ricevendo decine e decine di segnalazioni. Altre denunce arrivano al nostro numero anti-violenza o a quelli attivati dalle differenti Ong. Diciassette casi, poi, non significano diciassette vittime – precisa la vice-ministra –. Un singolo episodio, spesso, coinvolge più persone. Lo stupro e gli abusi sessuali sono delitti molto difficili da perseguire. In genere, le prime a negare o a non volerle ammettere, nemmeno con se stesse, sono le vittime. I soldati russi, poi, sono stati abili nel distruggere le prove. A Bucha, molti dei cadaveri dei civili uccisi erano carbonizzati: impossibile, dunque, trovare tracce di violenze sessuali. Ma siamo decisi a fare il possibile».

In quest’ambito, una collaborazione importante è offerta da un pool di esperti Onu, coordinato da Pramila Patten, responsabile delle Nazioni Unite per le violenze sessuali durante i conflitti. Finora Kiev ha individuato tre sospetti. Tutti militari del Cremlino al momento latitanti. Oltre al soldato Romanov, un altro è accusato di aver commesso abusi nella zona di Kiev, il terzo nell’oblast di Cherniguiv. «Contiamo di poter iniziare al più presto tutti e tre i processi, purtroppo in contumacia, anche se l’ultima parola spetta alla Procura. Non vogliamo perseguire solo i soldati ma i loro comandanti, i quali hanno consentito che accadesse quando non l’hanno favorito". Ma Kiev non punta solo alla giustizia nazionale. "Intendiamo ricorrere ai tribunali internazionali affinché tutto il mondo sia consapevole delle atrocità commesse dai russi. Le medesime perpetrate in Cecenia e in Siria».

L’obiettivo è certamente ambizioso. Potrebbero volerci anni perché i casi siano giudicati dalla Corte penale internazionale che sta ancora esaminando le denunce di violenze sessuali da parte delle truppe russe in Donbass nel 2014. «Non è importante quanto tempo ci vorrà. Lo stupro non ha prescrizione – conclude Pavlichenko –. Non rinunceremo ad avere giustizia».

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