I bimbi ospiti dell'istituto per sordomuti ad Aleppo
«La Siria torna a vivere». O almeno così dicono tutti. Un percorso lento e faticoso, ma possibile. A Damasco acqua ed elettricità sono tornate. «Sembrava assurdo pensarlo solo qualche mese fa – racconta padre Bahjat Karakach, guardiano del convento di San Paolo – e ora possiamo tirare un sospiro di sollievo». Tra i suq la gente sorride e chiacchiera come se la guerra fosse un ricordo lontano. Solo gli spari nel quartiere accanto ci ricordano che non è ancora finita. Al mercato davanti alla grande moschea si fatica a camminare: i turisti non ci sono, ma i commercianti accolgono tutte le richieste di chi può comprare finalmente una sciarpa o un po’ di caffè. «Raccontate a tutti che qui non è più così terribile, mi raccomando ».
Suor Yola dirige un asilo proprio accanto al luogo dove la tradizione vuole che san Paolo abbia incontrato Gesù. La struttura accoglie 140 bambini, dai 3 ai 5 anni. Molti sono profughi. «L’educazione è il primo punto per iniziare a ricostruire la Siria e – racconta suor Yola – sono necessari luoghi dove questi bambini possono riscoprirsi amati. Noi partiamo da qui, altrimenti non possiamo parlare di futuro». Ma di futuro si parla, anche e soprattutto ad Aleppo. I palazzi sventrati fanno ancora da cornice a un paesaggio triste, l’elettricità arriva a singhiozzo e l’acqua è ancora assente per alcune ore al giorno, ma non è più la città fantasma di un tempo. Gli aleppini hanno ripreso a intasare le strade: i clacson suonano continuamente, e anche le luci nelle case sono una novità. «È gente che non sta con le mani in mano», ci racconta padre Bassam, francescano in Siria da diversi anni.
Ed è vero: li osserviamo ai bordi delle strade raccogliere le macerie o arrangiare qualche impalcatura per sistemare la casa distrutta dai missili. Nel quartiere cristiano di Azizieh visitiamo la pasticceria di Khalil, e pochi metri dopo il ferramenta aperto da George, o un negozio di arachidi inaugurato solo da pochi giorni. Mesi fa erano si trovavano solo serrande chiuse e abbandonate, oggi queste attività sono il segno di una lenta ma costante ripresa. «Finanziamo da più di un anno la nascita di queste attività». Padre Ibrahim Alsabagh, il parroco latino di Aleppo, parla a lungo di questo progetto supportato da ATS pro Terra Sancta.
«Quando arrivano le richieste (e sono più di 400 fino a oggi) scegliamo le proposte migliori e diamo avvio all’attività ». Non è affatto semplice, ma per tante famiglie (soprattutto quelle più giovani) è ossigeno puro, anche perché – scopriamo da alcune fonti – a partire dal prossimo gennaio la Croce Rossa Internazionale non invierà più gli aiuti umanitari di prima necessità. In pochi giorni è difficile star dietro a questa macchina della carità che ha messo in moto migliaia di persone. Entriamo nella scuola di Al-Ram, che accoglie i bambini sordomuti, e rimaniamo sorpresi quando, poco dopo, visitiamo le case appena ristrutturate dalla parrocchia latina. «Rispetto alle 900 richieste dei tanti cristiani che vogliono ritornare in città, per ora siamo riusciti a ristrutturarne solo 90», racconta Noubar, ingegnere e capo progetto. «Ma andiamo avanti, senza sosta». Una goccia nell’oceano, certo. Ma ad Aleppo tutto questo serve, per non morire di sete. Ed è una sete di rivincita rincorsa da tanto, troppo tempo.