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La risposta di Joe Biden alle continue provocazioni iraniane e al superamento della “linea rossa” dell’uccisione di tre militari americani in una base in Giordania sarà una delle decisioni più importanti della presidenza del democratico.
Il capo della Casa Bianca ha finora evitato – per capacità diplomatica o per pura contingenza storica – l’escalation del malcontento palestinese, con una temuta esplosione della Cisgiordania o interventi armati contro Israele da parte di Paesi sunniti vicini ai palestinesi. Ora deve disinnescare la bomba di Teheran, che appare determinata a riaprire ogni ferita non rimarginata nella regione per scalfire e ridimensionare l’influenza Usa. Soprattutto quando porta ad accordi fra lo Stato ebraico e Paesi arabi a lui vicini che isolano ulteriormente gli sciiti iraniani. L’Amministrazione Biden ha ancora la possibilità di adoperarsi diplomaticamente e con azioni militari misurate per evitare una conflagrazione ulteriore del conflitto, in una direzione che forse inizialmente aveva sottovalutato, contenendo al contempo la belligeranza iraniana. Ma adottando una reazione contenuta il commander in chief rischia la rielezione e in un voto che potrebbe essere determinante per la democrazia americana.
Gli attacchi delle forze filo-iraniane, intanto, continuano. Ieri una delle basi militari Usa in Siria è stata presa di mira da razzi sparati dalla “Resistenza islamica in Iraq”, sigla che riunisce le milizie irachene filo-iraniane che operano tra Siria e Iraq. I lanci di razzi e droni contro posizioni americane nella regione sono stati circa 160 in meno di quattro mesi, con circa 70 feriti tra il personale Usa fino a domenica, quando un drone ha colpito un avamposto Usa, Tower 22, in Giordania e ucciso tre soldati americani, ferendone più di 35.
Il presidente americano ha attribuito il gesto a «gruppi estremisti sostenuti dall’Iran attivi in Siria e Iraq» e assicurato che ne chiederà conto «a tutti i responsabili nei tempi e nei modi che sceglieremo».
La decisione sui modi non è ancora stata presa. Ieri Biden ha convocato nella Situation Room il suo Consiglio per la sicurezza nazionale, che comprende il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario alla Difesa Lloyd Austin, la direttrice dell’intelligence nazionale Avril Haines, il capo dello staff Jeff Zients. Alla fine, il capo del Pentagono ha promesso che gli Stati Uniti intraprenderanno «tutte le azioni necessarie per difendere le proprie truppe», assicurando che «il presidente e io non tollereremo attacchi alle forze statunitensi». Situata nel punto più nordorientale della Giordania, dove convergono i confini del Regno hashemita, della Siria e dell'Iraq, Tower 22 è una base strategica ma nascosta. Non è chiaro quante truppe vi siano di stanza, non è noto il tipo di armi in dotazione, né le difese aeree utilizzate, ma si sa che questo presidio è stato fondamentale nella lotta contro il Daesh e ha un ruolo chiave nella strategia Usa per contenere la presenza militare dell’Iran. Austin ha ammesso che, forse, la base non è riuscita a fermare il primo attacco mortale contro le truppe americane per un errore di valutazione: i militari pensavano che fosse statunitense perché nello stesso momento in cui è stato avvistato il drone lanciato dalle milizie, ce n'era un altro Usa atteso in rientro.
Qualunque sia la spiegazione, l’uccisione dei soldati — la prima volta in oltre due anni che militari americani muoiono sotto fuoco nemico — è subito rimbalzata nel centro della campagna elettorale.
Donald Trump ha incolpato il leader democratico per l’attacco. «Il nostro Paese non può sopravvivere con Joe Biden come comandante in capo – ha scritto domenica sera sul sito Truth Social –. Questo sfacciato attacco agli Stati Uniti è l’ennesima conseguenza orribile e tragica della debolezza e della resa di Joe Biden». Il favorito repubblicano del 2024 ha aggiunto che la tragedia non sarebbe mai avvenuta se fosse stato presidente. L’opinione pubblica è rimasta scioccata dalle morti e preme per un’azione decisa che riaffermi la potenza dell’America contro i suoi nemici. Persino il quotidiano liberal Washington Post ieri scriveva che occorre evitare una grande guerra con la Repubblica Islamica, ma anche che «è chiaro che i passi fatti sinora non sono stati sufficienti per proteggere le forze Usa nella regione» e che gli Stati Uniti devono fare di più perché «è chiaramente giunto il momento di dimostrare all'Iran che non può uccidere con impunità».