Giovani in una scuola a Slotervaart, periferia di Amsterdam (Ansa)
A mano a mano che il tram numero 1 sferraglia lento in direzione sud-ovest, l’incarnato dei passeggeri passa dal rosa all’olivastro, i capelli biondi lasciano il posto a varie sfumature di bruno. Alla fermata di Johan Huizingalaan, il quartiere di Slotervaart ha già cominciato a mostrarti il suo volto. Ci si potrebbe anche dimenticare di stare ad Amsterdam camminando per queste vie in cui il fascino della capitale olandese cede il passo a malinconiche palazzine di cemento raggruppate attorno ad un futuristico centro municipale. È questo uno dei principali bersagli delle invettive anti-islamiche di GeertWilders, fondatore di quel Partito della libertà (Pvv) che punta a far saltare il banco delle elezioni olandesi del 15 marzo. Se negli anni Sessanta qui vivevano solo olandesi della classe media, oggi quasi la metà dei circa 50mila abitanti di Slotervaart sono immigrati stranieri, in gran parte musulmani e di origine marocchina, l’etnia che più di tutte il leader populista ha additato a problema principale dei Paesi Bassi, definendola, con un termine corrosivo, «feccia».
Inevitabilmente l’immigrazione e l’aderenza degli stranieri, soprattutto di religione musulmana, ai «valori tradizionali » olandesi hanno finito per dominare il dibattito della campagna elettorale, con il premier uscente liberale Mark Rutte a inseguire Wilders sul terreno del populismo. I due sono appaiati nei sondaggi e non è detto che alla fine Wilders vinca, ma di fatto il Pvv è riuscito a reindirizzare sui suoi temi anche l’agenda degli altri partiti. Va detto che rispetto a molte periferie del mondo, anche italiane, Slotervaart mantiene tutto sommato un aspetto dignitoso e, quanto meno di giorno, girare per le sue strade non trasmette sensazioni di pericolo. I dati, però, mostrano che qui l’incidenza di reati e disoccupazione è significativamente più alta della media nazionale e che un giovane su tre del quartiere ha lasciato la scuola superiore. In piccoli appartamenti vivono anche otto persone e la polizia – la cui stazione si trova proprio accanto alla moschea di August Allebéplein – resta costantemente vigile. Un occhio speciale viene riservato ai cosiddetti «hangjongeren» («i ragazzi che stanno in giro»), giovani adulti disoccupati e con pochissime prospettive di trovare un lavoro. Come Ahmed, 24 anni, che si definisce «un olandese purosangue» e che senza esitazioni ci apre le porte di casa, dove abita con i genitori. Nato qui come i suoi quattro tra fratelli e sorelle, Ahmed ammette che «molti immigrati vivono nel loro mondo, guardano al-Jazeera con la parabola, mangiano il cous cous con l’agnello e frequentano la moschea il venerdì, senza che ci sia una grande pressione per uniformarsi alle abitudini e allo stile di vita olandese». Ma ci tiene a sottolineare che gran parte dei suoi amici «non fa nulla di pericoloso, magari dicono alle ragazze musulmane per strada di indossare il velo, ma non danno fastidio e certo non pensano ad organizzare un attentato».
Nessuno però in Olanda ha dimenticato che proprio qui a Slotervaart è nato e cresciuto Mohammed Bouyeri, l’allora 27enne che nel 2004 scioccò i Paesi Bassi uccidendo in strada in pieno giorno il regista Theo van Gogh, per eseguire una fatwa legata al suo cortometraggio “Submission” sull’oppressione della donna nel mondo islamico. Oggi Bouyeri, doppia cittadinanza olandese e marocchina, sta scontando l’ergastolo. «Sono passati molti anni, ed è stato comunque un atto individuale, non quello di una comunità – sottolinea Khalil, 32 anni, proprietario di un negozio di frutta –. Da allora però il clima è cambiato, i sondaggi dicono che il 56% degli olandesi non ama i marocchini». L’altra faccia della medaglia è che, spiega Peter, agente di polizia del quartiere, «uno studio pubblicato dal ministero degli Affari sociali ha indicato che quasi il 40 per cento dei turchi e dei marocchini in Olanda non si sente accettato e non avverte un senso di appartenenza al Paese».
A essere cambiato negli ultimi anni è soprattutto il principio giuridico del «gedogen», quell’approccio tutto olandese per cui tutto sommato spesso era meglio chiudere un occhio e tollerare, che si trattasse di droghe leggere o di intervenire nel caso di piccostato le situazioni di devianza e criminalità. Era “tollerato” il fatto che alcuni musulmani picchiassero le mogli o che fosse possibile vendere testi sulla lapidazione o sull’uccisione dei gay alla moschea al-Tawheed in Jan Hanzenstraat. L’omicidio van Gogh ha suona- to la sveglia e fatto accantonare il «gedogen », almeno a Slotervaart, anche se le feroci invettive di Wilders, che punta a bandire il Corano e a chiudere tutte le moschee, oltre che le frontiere, hanno poi estremizzato l’allarme.
Tra i sostenitori della linea dura c’è da sempre Ahmed Marcouch, ex agente di polizia e oggi esponente dei laburisti del Pvda. Prima di essere eletto alla Camera bassa era a capo del consiglio municipale di Slotervaart ed era soprannominato «lo sceriffo». Nato in Marocco, arrivato in Olanda a 10 anni ancora analfabeta, Marcouch ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua strada un insegnante che lo ha aiutato a rimettersi in carreggiata. E oggi continua a credere che siano «l’educazione e la formazione al lavoro l’unico modo per convincere i giovani di origine straniera del quartiere ad abbandonare una sorta di isolamento auto-imposto». Marcouch è sempre tra coloro che hanno invocato l’assunzione di più agenti di polizia provenienti dalle minoranze etniche, per incentivare la fiducia della comunità locale. Ma è dei giorni scorsi la notizia dell’arresto di una guardia del corpo di Wilders di origine marocchina. L’uomo è sospettato di aver venduto informazioni ad un’organizzazione criminale olandese-marocchina sugli spostamenti del leader del Pvv, che ha poi sospeso per una settimana tutti gli eventi pubblici della sua campagna elettorale. Il quotidiano Nrc Handel-sblatt, che per primo ha dato la notizia, ha parlato di un «enorme colpo» agli sforzi della polizia per incoraggiare la diversità etnica.
Tra i figli più illustri di Slotervaart c’è anche l’ex premier olandese Wim Kok, laburista, in carica dal 1994 al 2002. Kok, 77 anni, ancora oggi alcune mattine può essere avvistato pedalare in bicicletta lungo Pieter Calandlaan verso la stazione di Lelylaan. Kok ha scelto di stare qui per «dare un esempio», ma sono in molti a ritenere che la strada del multiculturalismo, pur fondamentale e forse inevitabile in un Paese in cui l’11 per cento degli abitanti è di origine straniera, sia più lunga e impervia di ciò che si riteneva un tempo.
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