L'ingresso all'area mineraria dove è avvenuta la tragedia - Reuters
Più di 50 persone sono morte, ancora una volta, in una miniera di carbone siberiana, nell'ultimo disastro che ha colpito l'industria mineraria russa. Solo pochi giorni fa, parlando di transizione ecologica globale, in queste pagine, abbiamo ricordato la “neve nera” della Siberia, spesso coperta dal carbone, che avvelena le donne in gravidanza e gli stessi feti.
Oggi questa strage, una delle più grandi dell’ultimo decennio, accende nuovamente l’attenzione su alcuni luoghi siberiani, nella regione russa di Kemerovo, dove peraltro, al momento, sono stati arrestati alti dirigenti preposti al controllo delle miniere di quell’area, perché sospettati di violazioni della sicurezza sul lavoro.
Le agenzie di stampa russe riportano 52 morti ufficiali, inclusi 6 soccorritori, che avevano preso parte a un'operazione di ricerca dei sopravvissuti fallita. La miniera di carbone Listvyazhnaya, vicino alla città di Belovo, a 3.600 chilometri ad Est di Mosca, “si è riempita di fumo e poi c’è stata la scintilla del metano”, ha detto il governatore Sergei Tsivilev sul suo canale di Telegram.
Alexander Sergeyev, il capo dell'Unione dei Minatori Indipendenti della Russia, ha dichiarato, con precise accuse, che l'incidente è nato da “pura e criminale negligenza" verso le regole, più ovvie e basilari, da parte dei proprietari e della direzione delle miniere. "E ora – ha aggiunto - stanno spostando di nuovo, assurdamente, la colpa sui lavoratori”.
La moglie di Boris Piyalkin, uno dei minatori morti nel drammatico incidente, ha detto, quasi rassegnata, all’agenzia Ria Novosti, che tutti sapevano come, in queste ore, i livelli di metano nella miniera erano troppo alti, ma i minatori hanno continuato a lavorare, come ordinato dai dirigenti, nonostante avessero spento un altro incendio, molto meno dannoso, solo dieci giorni fa.
Il soccorritore: condizioni di lavoro disumane
Raggiungendo sul posto Alexiei Melmkov, uno di quei soccorritori arrivati, quasi inutilmente, dopo alcune ore, soprattutto a causa di condizioni meteorologiche molto aspre, ci ha raccontato che, in quei territori, normalmente, il lavoro è disumano; “spesso avvengono pestaggi contro i minatori che chiedono, come un miraggio, qualche diritto in più. Lì sotto si scopre che cos’è l’inferno di chi non ha quasi mai una prospettiva di vita che vada oltre i cinquant’anni, a causa di quel che si respira, ma anche a causa della malnutrizione. Lì sotto non c’è lo Stato, ma non c’è neanche una dimensione umana né della vita né del lavoro. Non credo si possa immaginare davvero che cosa siano le miniere siberiane”.
Questi sono episodi frequenti?
“Molto frequenti, anche se con dimensioni meno disastrose; le conseguenze delle esplosioni nel sottosuolo sono il manifestarsi di incendi, che poi producono lo sviluppo di ossido di carbonio (letale per il personale), l'innalzamento della temperatura e a volte crolli importanti di porzioni del sotterraneo a causa dell'onda d'urto dovuta all'esplosione”.
E come mai lei non sembra stupito dinanzi a scene così sconcertanti e dolorose?
“Restate sconcertati dinanzi a questa tragedia, a questa singola tragedia, ma il dramma, qui, si consuma ogni giorno e siccome quasi tutti abbiamo un parente che lavora lì sotto, sappiamo che la morte sopraggiunge non solo per esplosioni (o per esalazioni), ma per infarti, scarsità di cibo, problemi gravi alla vista, tumori cerebrali, linfomi e soprattutto suicidi, di chi non riesce più a sopportare le condizioni estremamente stranianti di quel buio perseguito dalla nostra politica per affari che ci avvelenano tutti”.
Eppure la morte del carbone sembra vicina, come ha detto Boris Johnson a Glasgow
“Intanto la Russia ha emanato l’ordine, insieme alla Cina, di una maggiore produzione ed estrazione in queste miniere, lasciando peraltro che uomini emaciati spingano carrelli da una tonnellata e mezza in corridoi lunghissimi. Questi sono veri e proprio gulag e, nel villaggio, lo sappiamo tutti. Quel che si è detto a Glasgow, francamente, qui lo ignoriamo, ne sappiamo ben poco”.