martedì 7 marzo 2017
La piccola è stata assassinata da una “maga” nello Stato del Karnataka in una cerimonia che aveva lo scopo di guarire dalla paralisi un lontano parente. Troppo tardi è intervenuta la polizia
Immagine di archivio: una bimba indiana  (Reuters)

Immagine di archivio: una bimba indiana (Reuters)

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Orrore, pregiudizio e pratiche che nessuna legge è in grado di stroncare. Nonostante la repressione e la condanna diffusa, continua a allungarsi in India la lista delle vittime di sacrifici umani.

Sovente bambini condannati a essere immolati alle divinità locali a beneficio di congiunti, oppure in nome della prosperità del villaggio. Per gli studiosi, un segnale preoccupante della divaricazione sociale e culturale che è la vera cartina di tornasole del progresso del Paese, oltre il potenziale economico. Ultima a cadere vittima di un rito magico che avrebbe dovuto restituire la salute a un lontano parente paralizzato è stata una bambina di 10 anni, che la scorsa settimana in un villaggio vicino alla storica città di Magadi, nello Stato meridionale di Karnataka, ha pagato per l’associazione di credulità e credenze ancestrali. Forse anche per l’avidità di una “maga” locale che ha prescritto al commerciante musulmano Mohammed Wasil l’uccisione di una bambina tra gli otto e gli 11 anni come cura infallibile per il fratello Rafiq, paralizzato perché «posseduto da uno spirito maligno». Una vittima da scegliere di preferenza tra un membro della famiglia.

Il primo marzo, la piccola Ayesha, nipote di Wasil per parte di padre, è stata portata con un espediente in un terreno adibito a cimitero di proprietà del commerciante dove è stata semi-strangolata con nastro adesivo dopo alcuni riti magici e poi sgozzata. Mentre le persone che avevano presenziato all’omicidio sono rientrate a casa, il corpo della vittima è stato messo in un sacco e gettato in un canale, dove è stato ritrovato due giorni dopo.

Quattro protagonisti della vicenda sono stati arrestati, incluso un minorenne che ha attirato Ayesha nella trappola con un espediente. Dalle indagini, scattate solo dopo il ritrovamento del corpo, è emerso che Wasil era stato particolarmente attivo dopo la scomparsa della nipote ed era stato lui stesso a accompagnare i familiari al posto di polizia per la denuncia dopo molte ore di ricerca infruttuosa. «Aveva anche pregato per il ritorno a casa della bambina e ha segnalato la scomparsa nella vicina moschea», ha dichiarato una zia di Ayesha.

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