Una vita spesa a fianco degli ultimi in un Paese, il Pakistan, dove è vissuta per 55 anni, dove è morta due anni fa a 87 anni e dove è sepolta. Per tanti, quella di suor Ruth Pfau è un’immagine simile a quella di Madre Teresa. Della santa che aveva fatto di Calcutta la propria casa suor Ruth aveva non solo i tratti fisici nascosti sotto un velo bianco e azzurro, ma anche la determinazione fino alla cocciutaggine.
Oggi Google ne ricorda la figura e la nascita esattamente 90 anni fa a Lipsia, in Germania, dedicandole significativamente il doodle, l’immagine nella pagina iniziale del suo motore di ricerca. Un segnale del rilievo che l’opera della religiosa, ha avuto e continua ad avere, diventando esempio di impegno contro la lebbra ma ancor più contro la discriminazione che l’accompagna.
Di famiglia protestante fuggita nel dopoguerra dalla Germania Est a quella Ovest e studente di Medicina, dopo la conversione al cattolicesimo nel 1953, nel 1857 Ruth era entrata a Parigi nella Società delle Figlie del Cuore di Maria, particolarmente attenta all’educazione dei giovani.
Dopo brevi esperienze in India e Afghanistan, inviata in Pakistan nel 1960 con l’incarico di concretizzare un servizi di assistenza medica per gli studenti per quello che doveva essere un incarico temporaneo, decise di restare e proseguire la sua opera a favore dei pachistani colpiti da una malattia assai allora diffusa, curabile ma in sé garanzia di emarginazione.
Fu anche con il suo contributo – esemplificato dalla fondazione di 157 centri di assistenza - se nel 1996 il Pakistan divenne ufficialmente libero dal morbo di Hansen, ma sicuramente fu essenziale il suo impegno per garantire uguale dignità a - si calcola - 56mila individui altrimenti costretti a una vita stentata in colonie isolate dalla società.
A riconoscimento della sua opera, nel 1988 il governo pachistano le concesse la cittadinanza pachistana e dopo la sua morte il 10 agosto 2017 la onorò con funerali di stato.