Pierbattista Pizzaballa - Boato
«In tutti questi anni vissuti in Terra Santa, non ho mai visto una violenza così diffusa». Monsignor Pierbattista Pizzaballa non perde mai la sua pragmatica lucidità, ma segue preoccupato l’escalation di violenza che è tornata a infiammare gli animi dei due popoli in conflitto. Da Gerusalemme, il Patriarca latino interviene sugli scontri e con realismo dipinge un quadro complesso, composto da dinamiche vecchie e tinte nuove. Da anni a Gerusalemme, prima Custode di Terra Santa e ora Patriarca, è uno degli osservatori più attenti della realtà mediorientale.
Il copione sembra sempre lo stesso, eppure in questi giorni stiamo assistendo a qualcosa di diverso dal solito. C’è una “novità” in questa escalation di morte?
La novità sta principalmente negli scontri che si stanno verificando in tutto il Paese. Abbiamo visto immagini di città ferite dove solo fino al giorno prima potevamo parlare di pacifica convivenza tra arabi musulmani ed ebrei israeliani. È un insieme di elementi esplosi, legati l’uno all’altro ma anche – ahimè – con dinamiche indipendenti. Una delle cause è sicuramente da attribuire alla «politica del disprezzo » in corso da anni e che ha aumentato la frustrazione e la rabbia tra persone. Una politica che è da sempre figlia del razzismo. A Gerusalemme, gli scontri tornano ciclicamente e posso dire – a costo di sembrare di cinico – che anche la guerriglia di Gaza non è una novità. L’unico risultato sarà un aumento di morti e macerie, che andranno ad accumularsi a quelli degli anni precedenti.
Da una parte la destra religiosa ebraica che getta benzina sul fuoco, dall’altra l’ostinata battaglia di Hamas contro un nemico che non può sconfiggere. In questa crisi politica quanto conta l’aspetto religioso?
La presenza alla Knesset di partiti religiosi (orientati a destra) non è una novità, e l’uso strumentale della moschea di al-Aqsa torna comodo ad Hamas, che punta a diventare portavoce dei palestinesi. L’aspetto religioso, quando si contamina con la politica, rende tutto più complesso e lungo. Perché se in politica si punta a raggiungere il compromesso, nell’ambito religioso diventa tutto più complicato. Cosa ci possiamo aspettare dai prossimi giorni? È difficile prevedere le decisioni che si prendono ai tavoli della politica. Complessivamente credo di poter dire che tutta la popolazione è stanca di questa situazione. E dopo questi focolai iniziali – che mi auguro finiscano il prima possibile – si tenderà a gettare acqua sul fuoco, anziché benzina. Ma sappiamo quanto è difficile fare previsioni, specialmente qui, dove la situazione è così intricata e ogni cosa può cambiare da un giorno all’altro. E il giorno dopo – di solito – usiamo la carta dei giornali per avvolgere il pesce.
A inizio mese Israele ha riaperto la possibilità di viaggiare per chi è vaccinato, e non sembrava lontana la ripartenza dei pellegrinaggi. Come cambierà adesso?
Questa crisi ha certamente rallentato la ripresa del turismo, specialmente religioso, che è già in grave difficoltà. I pellegrinaggi – come è noto – sono una delle fonti di guadagno e sostentamento per la popolazione, ma la situazione sta già creando un grande danno economico, perché hanno stroncato un potenziale ritorno dei pellegrini nei luoghi di Gesù. Quando tutto questo sarà finito, riprenderanno. Spero il prima possibile.
C’è un punto su cui insistere per immaginare anche solo lontanamente che le cose potranno cambiare, un giorno?
Dobbiamo insistere sull’educazione e la formazione. Le scuole rivestono un ruolo importantissimo, e ci impegneremo ancora di più per favorire tutte le occasioni di incontro possibili.