Una suora tra le macerie di Qaraqosh. Nella città irachena sono le istituzioni religiose a tessere gli esili fili della società civile ora che lo Stato è assente
La striscia d’asfalto incastonata nella polvere supera il confine incerto del Kurdistan, infila i check-point iracheni e piega a sud dove due miliziani emergono dalla garitta, sulla quale sventolano le bandiere di Hash al-Shaabi, l’esercito paramilitare sciita. Poi è la piana di Ninive liberata dallo Stato Islamico, la lunga sequenza della distruzione: università e scuole annichilite dai bombardamenti aerei, i campanili abbattuti dalla furia iconoclasta, il piazzale della cattedrale caldea di Qaraqosh trasformato in campo da tiro, le sue volte annerite dal fumo, le statue dei santi come piattelli spezzati e le colonne diventate angoli di periferia per scarabocchiare con i nomi di guerra l’utopia efferata del Califfato.
«La situazione economica è peggiorata rispetto ai primi mesi seguiti alla liberazione. Il governo a Baghdad non ha fatto niente per noi. Manca il lavoro e molte famiglie esitano a tornare dai campi in Kurdistan. Pensano che qui non ci sia futuro», spiega padre Ammar, parroco di Qaraqosh. Sono le istituzioni religiose a tessere gli esili fili dell’amministrazione e della società civile ora che lo Stato è assente, inghiottito nelle sabbie mobili delle elezioni di maggio. I partiti sciiti, sunniti e curdi, espressioni di memorie e interessi divergenti, stentano a coagularsi in una maggioranza di governo mentre il popolo in piazza reclama servizi di base e lavoro, Da “para-Stato” Daesh è regredito alla struttura molecolare e sfuggente delle origini, sopravvive grazie al crimine e al terrore. Dopo il mandato britannico, la monarchia hashemita, l’indipendenza, la dittatura Baath e il fallito tentativo demiurgico americano, l’Iraq continua a essere uno spazio politico eterogeneo e violento.
La Chiesa ortodossa ha chiesto ai suoi fedeli di restare nei campi profughi. Non esistono le condizioni di sicurezza per un sereno ritorno alle case di Qaraqosh e Bartella. Gli Stati europei e le Ong finanziano e operano con generosità, ma non è abbastanza perché la popolazione possa risollevarsi sotto il peso di caos e macerie. Così le Chiese evangeliche statunitensi si manifestano portando in dono copiosi contributi e proposte di ripopolamento per far rifiorire la terra inaridita dal Daesh. La fragilità delle minoranze cristiane, yazide e shabak ha attirato capitali sciiti che procedono con insistenza all’acquisto di terre: operazione ricondotta da alcuni analisti al tentativo di creare un corridoio che unisca Teheran, Baghdad, Damasco e Dahieh, la periferia di Beirut dove governa Hezbollah. Mentre i contadini mormorano, per paura di ritorsioni, il ministero de- gli Interni ha replicato autorizzando il trasferimento di 450 famiglie sunnite a Hamdaniya, Bartella, Bashiqa e Tel Kayf.
Il Consiglio Provinciale di Ninive ha fatto appello alle sue prerogative federali per respingere il provvedimento. Difficile dire se avrà i mezzi per implementare la decisione. Le ingegnerie demografiche sono l’eterna declinazione di una lotta per il dominio in uno Stato strutturalmente minacciato da dittatura o dissoluzione. Sperduta negli sterminati luoghi della geopolitica, la comunità cristiana di Ninive combatte l’incubo dell’irrilevanza con il lavoro e la parola. Presto La voce della Pace, radio di Qaraqosh razziata durante l’occupazione, raggiungerà di nuovo i piccoli villaggi sparsi per la pianura. Nella “Casa delle donne” la Ong italiana Focsiv supporta la preparazione di 60 donne ai mestieri della sartoria, della parrucchiera, della ristorazione, all’uso dell’informatica e dell’inglese. Sono cristiane, sciite, shabak, e nel dialogo dei laboratori erodono emancipandosi la tradizione patriarcale e creano l’armonia disprezzata nei palazzi del potere. Dopo i corsi Focsiv finanzia la nascita di piccole attività commerciali. «Le differenze culturali rimangono», racconta Merna Raed, direttrice della Casa. «Ma vanno perfettamente d’accordo. Unite dalla voglia di libertà, e dalla paura». Presto nascerà il ristorante di Atira. Gli uomini della famiglia trasportano nelle scatole le ultime attrezzature. Manca solo un cartello. A sorprendere gli automobilisti in corsa lungo i checkpoint e la desolazione della strada verso Qaraqosh.