Quella di Oscar Pistorius è una vita complicata, fatta di successi e di momenti dolorosi. Sportivo speciale, fenomeno dell'atletica
leggera paralimpica, poi caso limite delle gare per normodotati: con il mondo dello sport a dividersi sull'argomento. Poi la terribile vicenda dell'omicidio della sua fidanzata: colposo o volontario? Anche stavolta l'opinione pubblica mondiale si è spaccata. In attesa della sentenza finale.
Nato a Johannesburg nel 1986 l'atleta sudafricano inizia la sua
personale sfida contro il destino quando non ha nemmeno un anno.
Una grave malformazione alle gambe (era nato senza peroni) lo
costringe all'età di 11 mesi a subire l'amputazione di entrambi
gli arti inferiori. Nonostante l'handicap, però, non si perde
d'animo e mentre frequenta il liceo di Pretoria gareggia nel
rugby e nel water polo.
Lo sport diventa, così, la sua ragione di vita. Dopo che una
lesione al ginocchio lo costringe a cambiare disciplina,
Pistorius si avvicina all'atletica leggera, prima per
riabilitazione poi per scelta. Dopo tanta strada e tanti
sacrifici, arriva il primo grande appuntamento: le Paralimpiadi
di Atene nel 2004. In Grecia si presenta da semi-sconosciuto con
delle particolari protesi in fibra di carbonio. Arriva terzo nei
cento metri e vince l'oro nei duecento e da quel momento la sua
carriera sarà un susseguirsi di record e primati.
Nel 2005, al
Gran gala di atletica a Helsinki, diventa il primo atleta
paralimpico a competere con i normodotati in una gara ufficiale
e due anni dopo arriva il record nei 200 metri. L'uomo bionico,
Blade Runner, l'uomo più veloce senza gambe: i soprannomi per la
nuova stella dell'atletica si sprecano. Conquistati i primi
successi, il sudafricano esprime il proprio desiderio di voler
competere con i normodotati e l'obiettivo sono le Olimpiadi di
Pechino 2008.
A questo punto, però, inizia una controversia
infinita sulle sue protesi d'acciaio destinata a riempire le
pagine di tutti i giornali e che, alla fine, spinge la
federazione internazionale a respingere la sua richiesta. "Ne
può trarre vantaggio rispetto agli altri atleti" è la
motivazione della Iaaf. Le sue gambe tecnologicamente modificate
diventano così lo scoglio su cui si infrangono tutti i sogni.
Ma pochi mesi dopo, a sorpresa, arriva il dietrofront: il Tribunale
arbitrale dello sport si pronuncia a favore di Pistorius
precisando che non esistono elementi scientifici sufficienti per
dimostrare il suo vantaggio dall'uso delle protesi". Un'altra
vittoria, che si rivelerà inutile, perché Pistorius fallisce le
qualificazioni e non realizza il tempo minimo per partecipare ai
Giochi.
A Pechino però, alle Paralimpiadi fa comunque il pieno
di vittorie e vince l'oro nei 100, 200 e 400 metri. Nel
frattempo continua la sua battaglia per gareggiare con i
normodotati. E il sogno alla fine lo realizza. Nel 2012 ottiene
sui 400 metri il minimo valido per la partecipazione ai Giochi
olimpici di Londra, e la sua federazione decide di convocarlo
sia per la prova individuale sia per la staffetta.
Un passo che lo iscrive di diritto nella storia dello sport,
diventando il primo atleta paralimpico a partecipare alle
Olimpiadi. Londra però si rivelerà per lui avara di
soddisfazioni: arriva fino alla semifinale ma si piazza ottavo e
viene eliminato. Intanto la sua popolarità è schizzata alle
stelle. Strappa compensi milionari alle aziende, la Nike lo
sceglie come testimonial.
A chi gli chiede come ci si sente ad
essere una fonte d'ispirazione risponde: "È una responsabilità,
perché non è facile far capire alle persone che se t'impegni
puoi conquistare tutto". Ma per lui, forse, il 'tuttò non è
abbastanza. A febbraio 2013 il mito crolla e si spegne quel
sorriso fin troppo marcato che Pistorius aveva sempre mostrato
al mondo. L'atleta viene arrestato dalla polizia di Pretoria con
un'accusa terribile: quella di aver ucciso la propria fidanzata,
la modella trentenne Reeva Steenkamp. Nel processo che scuote il
Sudafrica e il resto del mondo l'immagine del campione
vittorioso che supera ogni ostacolo lascia spazio a quella di un
uomo distrutto, disperato, sempre in lacrime. Da quel giorno la
favola dell'atleta senza gambe che aveva lottato e vinto non ha
più il lieto fine.