
Soldati dell'esercito sul luogo dell'esplosione in Sudan - Ansa
Il virus della guerra rischia di contagiare il cuore dell’Africa dal Corno ai Grandi Laghi. Lo affermano diversi osservatori.
In Sudan, è stato scritto l’ennesimo capitolo di una guerra cruenta che ha prodotto in 23 mesi la più grande crisi umanitaria del globo. «Centinaia di civili» sono stati uccisi e decine feriti in un bombardamento indiscriminato dell'esercito sudanese sul mercato della città di Tora, nel Darfur settentrionale. Lo denuncia il collettivo di avvocati volontari sudanesi Emergency Lawyers, che documenta le atrocità del conflitto.
La notizia del bombardamento del mercato di Tora giunge dopo che nel fine settimana l’esercito si è preparato a riprendere il controllo della capitale Khartum. Nei giorni scorsi, invece, i nemici, i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf), hanno annunciato di aver preso la capitale del Darfur settentrionale Al Maliha, a 210 chilometri da El Fasher. Le tensioni sudanesi si sono estese in Ciad. Ndjamena ha condannato ieri la minaccia del tenente generale Yasir al-Atta, vice comandante dell’esercito sudanese, di colpire i suoi aeroporti, definendola una «dichiarazione di guerra». L’alto ufficiale ha affermato che gli Emirati Arabi Uniti stanno usando gli aeroporti del Ciad per consegnare armi alle Rsf. L'esercito “governativo” sudanese ha ripetutamente accusato gli emiratini di sostenere i nemici con armi dal Ciad, accuse definite credibili da esperti Onu.
E il Sud Sudan, indipendente dal 2011, sarebbe a un passo da una nuova guerra civile. L’allarme è stato lanciato da Nicholas Haysom, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite e capo Missione Onu nel Paese. Le Nazioni Unite descrivono un quadro drammatico con attacchi indiscriminati contro civili, sfollamenti di massa, tensioni etniche in aumento alimentate da discorsi di odio sui social. Dal 2013 il Paese è dilaniato da un conflitto tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quelle legate all'ex vicepresidente Riek Machar. Nonostante la firma dell'Accordo di pace rivitalizzato nel 2018, i ritardi nell’attuazione e la persistente rivalità politica hanno mantenuto alta la tensione. Il 4 marzo la situazione è precipitata quando la milizia White Army ha assaltato caserme dell’esercito a Nasir, nello Stato dell’Alto Nilo.
In risposta le forze governative hanno effettuato bombardamenti aerei su aree civili, utilizzando barili esplosivi contenenti, secondo alcune fonti, sostanze altamente infiammabili. Le Nazioni Unite parlano di «ferite orribili, in particolare ustioni, anche su donne e bambini» e di almeno 63.000 sfollati. Secondo Haysom, entrambe le parti si stanno preparando a nuovi scontri e sono emerse denunce sull’arruolamento di minori nei gruppi armati. Il primo vicepresidente Riek Machar ha accusato l’Uganda di aver violato l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite entrando nel Paese con unità corazzate e aeree e conducendovi attacchi aerei. L’Uganda ha dichiarato di aver dispiegato le truppe su richiesta del governo del Paese temendo una ondata di rifugiati.
Nell’aprile 2019 il Papa ricevette a Casa Santa Marta – baciando loro i piedi per la pace – i leader sudanesi oggi pronti a scatenare la guerra. Francesco visitò il Paese nel febbrai o 2023. Infine, nuove tensioni anche tra Burundi e Ruanda. Il presidente burundese Ndayishimiye ha accusato alla Bbc il Ruanda di pianificare un attacco. Il leader ha preso visione di «informazioni credibili» che confermerebbero l’intenzione di Kigali di attaccare. Ndayishimiye ha inoltre affermato che il Ruanda ha provato a organizzare un colpo di Stato in Burundi una decina di anni fa, come «quello che sta facendo ora nella Repubblica democratica del Congo». Il Ruanda ha definito le dichiarazioni del presidente «sorprendenti». Nonostante le numerose prove fornite dall’Onu, il Ruanda ha sempre negato il proprio appoggio al gruppo M23, che di recente si è impadronito di ampie zone della regione orientale congolese insieme ai militari ruandesi.