L’arcivescovo Vincenzo Paglia
«Accompagnare la vita: nuove responsabilità nell’era tecnologica». È il titolo della prossima assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita che si terrà in ottobre. Mentre ne parliamo con il presidente, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, la sorte del piccolo Charlie Gard è legata alle decisioni dei medici che hanno concesso ai genitori ancora qualche giorno per il distacco. Vita, tecnologia, e accompagnamento sembrano proprio le tre grandi e complesse questioni che si intrecciano dietro il caso del bambino inglese.
Arcivescovo Paglia, come si dovrebbe accompagnare alla fine questo piccolo se davvero non c’è alcuna possibilità di salvarlo, senza che questo delicato e straziante momento prenda da una parte la deriva dell’accanimento e dall’altra quello dell’eutanasia?
Proprio pronunciando un triplice no: all’eutanasia attiva o passiva, all’abbandono e all’accanimento terapeutico. Tenendo presente che il grande sì va invece pronunciato nei confronti dell’accompagnamento e del prendersi cura, che non vuol dire sempre guarire, ma sempre vuol dire commuoversi e stare accanto a chi soffre in ogni momento e in ogni circostanza. E si tratta di un atteggiamento che dovrebbe essere condiviso da parte di tutti.
È questo il senso della cosiddetta alleanza terapeutica?
Sì, e vorrei sottolinearlo in maniera ancora più forte, ci vuole un’alleanza d’amore che deve coinvolgere il malato, quando è possibile, ma anche i familiari, i medici, gli amici. È in questo circolo d’amore che si afferma il valore della vita senza senza se e senza, e nello stesso tempo si evita quella dittatura della tecnica che ci fa dimenticare i limiti invalicabili dell’esistenza umana, ma oscura anche le impensabili risorse della volontà umana di viverli insieme, con amore. Per i credenti la preghiera fa parte di questa alleanza, nella quale coinvolgiamo Dio stesso.
In questo caso però l’alleanza terapeutica non sembra aver funzionato...
Purtroppo quando si affida la decisione a un tribunale, vuol dire che l’alleanza terapeutica non esiste più. E questo vanifica l’accompagnamento per far prevalere posizioni astratte e anche ideologiche. E qui ha ragione il Papa quando auspica che non venga trascurato il desiderio dei genitori di Charlie «di accompagnare e curare sino alla fine il proprio bimbo».
Il tema della responsabilità è proprio quello che avete messo al centro dell’Assemblea generale del prossimo ottobre. Perché la decisione di far dialogare responsabilità e tecnologia?
Perché tocchiamo una delle questioni cruciali del mondo contemporaneo che riguarda il rischio di una dittatura della tecnica che rende l’uomo strumento e oggetto manipolabile e non più fine da onorare, facendogli così perdere quel primato che sia la cultura cattolica sia la cultura laica gli riconoscono. Non si tratta di parlare in astratto della vita ma delle persone umane in tutto il loro sviluppo, dal concepimento sino alla morte naturale. È indispensabile che la visione evangelica e quella umanistica stringano un’alleanza per accompagnare l’uomo, evitando che venga travolto dallo tsunami della tecnica che stravolgerebbe la vita, facendola uscire a forza dall’umanità dei suoi affetti e dei suoi legami. Se accettiamo questo svuotamento e questo sequestro, come resterà umano il nostro cammino insieme?
In che maniera generazione e genitorialità – un altro dei temi in programma all’assemblea di ottobre – interrogano il binomio responsabilità-tecnologia?
Qui si apre la riflessione sulla cura della dignità di ogni persona umana nelle diverse età della vita, e sul reciproco sostegno tra i generi e le generazioni. Dobbiamo ribadire l’esigenza di difendere ogni singola persona da tutte le possibili forme di strumentalizzazione e sostenerne la dignità. In questo contesto va iscritta anche la promozione di un’autentica ecologia umana che aiuti a ritrovare l’equilibrio tra Creato e persona umana.
Responsabilità, tecnologia, cultura dello scarto – si parlerà anche di questo ad ottobre – richiamano la sciagura rappresentata dai milioni di bambini che ogni giorno nel mondo vengono scartati prima di nascere, e non soltanto perché affetti da qualche patologia. Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere il fatto che sia stato scelto, tra i nuovi membri della Pontificia Accademia per la vita, il filosofo anglicano Nigel Biggar perché si sarebbe pronunciato a favore dell’aborto. Cosa c’è di vero in queste accuse?
Quasi nulla. Si è trattato di una grande bolla mediatica. Biggar non solo è contrario all’aborto, ma mi ha confermato che combatterà contro questo tipo di cultura negativa in linea con la dottrina cattolica sul fine vita. Del resto basta leggere con attenzione quello che affermava già nel 2011, nel dialogo con Peter Singer finito sotto accusa. Sia prima, sia dopo la frase in cui sembra aprire all’aborto, in realtà si esprime «per tracciare una linea in maniera molto più conservativa» (sono proprio le sue parole) a difesa della vita. Certo, è stato facile leggere in modo malevolo un ragionamento complesso come quello da lui proposto.
Anche su altre nomine si sono però sollevati distinguo e perplessità...
Il Papa ha voluto che tra gli accademici ci fossero anche persone di altre tradizioni cristiane e di altre religioni perché spera in una grande intesa trasversale per riaffermare il valore della vita e della dignità di ogni persona. E questo è un obiettivo assolutamente accettato e sostenuto da tutti i membri nominati. Di fronte alle grandi frontiere dell’umano non c’è bisogno di alzare steccati, ma di cercare ovunque alleati convinti che siano anche scienziati preparati.
A proposito di manipolazioni mediatiche si continua a ripetere da settimane che sarebbe stata formata una commissione segreta per la "revisione" di Humanae vitae di cui lei sarebbe il grande regista. Ed è stato stilato anche un presunto elenco di esperti e di teologi – da Pierangelo Sequeri e Gilfredo Marengo – che sarebbero coinvolti in questo progetto. C’è qualcosa di vero in tutto questo?
Proprio nulla. La verità è un’altra. Paolo VI aveva intuito che il futuro umano del pianeta si sarebbe giocato sul tema della generazione. È su questo tema che dobbiamo riflettere insieme con coraggio, con audacia e con intelligenza. La cultura contemporanea arranca, manca di parole adeguate e non di rado arretra. È un tempo opportuno perché la Chiesa aiuti tutti a reinventare la forza della generatività mentre il mondo rischia sterilità, ripiegamento su se stesso, angoscia. Un esempio è il rischio di semplificazione della differenza – anche di genere – per l’incapacità a viverla e a sostenerla.
Pensa al problema della cosiddetta cultura gender?
Certo, al problema del gender, ma anche a quello di un’Europa che non fa figli e che invecchia sempre di più, allo squilibrio interno delle generazioni, all’evaporazione della figura del padre, alla fatica educativa che si ritrova in tutto l’Occidente. Riflettere su tutto questo vuol dire obbedire alla profezia dell’Humanae vitae per affrontare questi enormi problemi, che avevano già trovato in quell’enciclica una grande e profetica ispirazione. Altro che commissione per liquidarla!
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