Il 2015 si apre con un brusco inasprimento delle tensioni fra l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen e i dirigenti di Israele, la cui attenzione è
polarizzata dalla campagna elettorale per le politiche del 17 marzo. Dopo l'insuccesso patito al Consiglio di sicurezza dell'Onu, dove una minoranza capitanata dagli Usa ha bloccato la mozione che fissava necessariamente al 2017 la fine
dell'occupazione militare israeliana in Cisgiordania, Abu Mazen ha sottoscritto ieri 20 Convenzioni internazionali, fra cui lo Statuto di Roma per l'accesso alla Corte penale internazionale.
In una Ramallah imbandierata a festa in occasione del 50esimo
anniversario della fondazione di al-Fatah, fra grandi immagini
dei leader storici del nazionalismo palestinese, da Yasser
Arafat a Khalil al-Wazir (Abu Jihad), l'ottantenne Abu Mazen ha
ingaggiato la sua battaglia rilanciando la sfida. Ha polemizzato
con gli Stati Uniti per aver assecondato all'Onu ancora una
volta le posizioni di Israele, esprimendo invece compiacimento
per l'evoluzione a favore della Palestina in corso negli ultimi
mesi in alcuni Paesi europei: "È la prova migliore che il mondo
è stanco dell'occupazione israeliana, l'ultima e la più lunga
della storia moderna".
In questo contesto politico internazionale la leadership
politica palestinese ritiene dunque giunto il momento opportuno
per rivolgersi alla Corte penale internazionale dell'Aja e là
denunciare i "crimini di guerra" che attribuisce alle forze
israeliane. In primo luogo, ha anticipato il negoziatore capo
Saeb Erekat all'agenzia di stampa Wafa, sarà sollevato il
dossier della colonizzazione ebraica. Inoltre, aggiungono i
media palestinesi, si farà riferimento alla guerra della scorsa
estate a Gaza in cui si sono avuti oltre 2.100 morti.
La mossa di Abu Mazen era nell'aria da tempo, eppure Israele
è apparso disorientato. Oggi, mentre il Likud era impegnato
nelle elezioni primarie, Netanyahu ha lasciato gli impegni di
partito (di cui è tornato ad assicurasi il controllo) per tenere
una consultazione straordinaria sulle possibili ripercussioni.
Ha convocato il ministro della Difesa Moshe Yaalon e il
direttore generale del ministero degli Esteri: ma non ha
ritenuto opportuno sentire anche il parere del ministro degli
Esteri Avigdor Lieberman, il cui partito Israel Beitenu è adesso
rivale diretto del Likud a due mesi e mezzo dalle elezioni.
"Ci attendiamo dalla Cpi che respinga in tronco l'ipocrita
richiesta palestinese - ha quasi intimato il premier - in quanto
l'Anp non è uno Stato ma un'entità politica legata da
un'alleanza con un'organizzazione terroristica, Hamas, che si
macchia di crimini di guerra". Abu Mazen, ha poi tuonato,
dovrebbe temere quella Corte più di noi, perché Israele è uno
Stato di diritto "con un esercito morale che osserva i codici
internazionali". "Difenderemo i soldati del nostro esercito così
come difendiamo noi stessi", ha assicurato.
Questa schermaglia evidenzia una volta di più il grande vuoto
apertosi dopo il collasso nell'aprile scorso delle trattative di
pace mediate dal segretario di Stato Usa John Kerry. Se il
conflitto israelo-palestinese emigrerà all'Aja, gli animi
rischiano di esacerbarsi ulteriormente. Mentre da parte
palestinese si preparano i dossier, anche in Israele c'è del
resto già oggi chi vorrebbe trascinare Abu Mazen di fronte alla
Cpi per crimini di guerra. E da un duello giudiziario del
genere, avverte una 'colomba' come l'ex capo del Mossad Efraim
Halevy, "entrambe le parti rischiano di uscire malconce".