giovedì 1 gennaio 2015
Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese pensa ricorrere alla Corte penale internazionale contro la politica israeliana nei territori occupati.
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Il 2015 si apre con un brusco inasprimento delle tensioni fra l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen e i dirigenti di Israele, la cui attenzione è polarizzata dalla campagna elettorale per le politiche del 17 marzo. Dopo l'insuccesso patito al Consiglio di sicurezza dell'Onu, dove una minoranza capitanata dagli Usa ha bloccato la mozione che fissava necessariamente al 2017 la fine dell'occupazione militare israeliana in Cisgiordania, Abu Mazen ha sottoscritto ieri 20 Convenzioni internazionali, fra cui lo Statuto di Roma per l'accesso alla Corte penale internazionale. In una Ramallah imbandierata a festa in occasione del 50esimo anniversario della fondazione di al-Fatah, fra grandi immagini dei leader storici del nazionalismo palestinese, da Yasser Arafat a Khalil al-Wazir (Abu Jihad), l'ottantenne Abu Mazen ha ingaggiato la sua battaglia rilanciando la sfida. Ha polemizzato con gli Stati Uniti per aver assecondato all'Onu ancora una volta le posizioni di Israele, esprimendo invece compiacimento per l'evoluzione a favore della Palestina in corso negli ultimi mesi in alcuni Paesi europei: "È la prova migliore che il mondo è stanco dell'occupazione israeliana, l'ultima e la più lunga della storia moderna". In questo contesto politico internazionale la leadership politica palestinese ritiene dunque giunto il momento opportuno per rivolgersi alla Corte penale internazionale dell'Aja e là denunciare i "crimini di guerra" che attribuisce alle forze israeliane. In primo luogo, ha anticipato il negoziatore capo Saeb Erekat all'agenzia di stampa Wafa, sarà sollevato il dossier della colonizzazione ebraica. Inoltre, aggiungono i media palestinesi, si farà riferimento alla guerra della scorsa estate a Gaza in cui si sono avuti oltre 2.100 morti. La mossa di Abu Mazen era nell'aria da tempo, eppure Israele è apparso disorientato. Oggi, mentre il Likud era impegnato nelle elezioni primarie, Netanyahu ha lasciato gli impegni di partito (di cui è tornato ad assicurasi il controllo) per tenere una consultazione straordinaria sulle possibili ripercussioni. Ha convocato il ministro della Difesa Moshe Yaalon e il direttore generale del ministero degli Esteri: ma non ha ritenuto opportuno sentire anche il parere del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il cui partito Israel Beitenu è adesso rivale diretto del Likud a due mesi e mezzo dalle elezioni. "Ci attendiamo dalla Cpi che respinga in tronco l'ipocrita richiesta palestinese - ha quasi intimato il premier - in quanto l'Anp non è uno Stato ma un'entità politica legata da un'alleanza con un'organizzazione terroristica, Hamas, che si macchia di crimini di guerra". Abu Mazen, ha poi tuonato, dovrebbe temere quella Corte più di noi, perché Israele è uno Stato di diritto "con un esercito morale che osserva i codici internazionali". "Difenderemo i soldati del nostro esercito così come difendiamo noi stessi", ha assicurato. Questa schermaglia evidenzia una volta di più il grande vuoto apertosi dopo il collasso nell'aprile scorso delle trattative di pace mediate dal segretario di Stato Usa John Kerry. Se il conflitto israelo-palestinese emigrerà all'Aja, gli animi rischiano di esacerbarsi ulteriormente. Mentre da parte palestinese si preparano i dossier, anche in Israele c'è del resto già oggi chi vorrebbe trascinare Abu Mazen di fronte alla Cpi per crimini di guerra. E da un duello giudiziario del genere, avverte una 'colomba' come l'ex capo del Mossad Efraim Halevy, "entrambe le parti rischiano di uscire malconce".
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