venerdì 22 novembre 2024
Per la terza volta in una settimana colpita la base di Shama della missione Onu, raggiunta da razzi lanciati da Hezbollah. Intanto il premier ungherese Orbán va in soccorso di Netanyahu
La postazione della missione Onu nel sud del Libano

La postazione della missione Onu nel sud del Libano - Reuters

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«Vorrei cogliere l’occasione per invitarla in Ungheria in visita ufficiale, dove garantiremo la sua sicurezza e la sua libertà». Firmato Viktor Orbán. Destinatario Benjamin Netanyahu, all’indomani del mandato d’arresto emesso nei suoi confronti dai giudici per le indagini preliminari della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja. Il premier israeliano ha ringraziato, riconoscendo all’omologo ungherese «chiarezza morale». Se Londra ribadisce l’impegno a rispettare «sempre» gli obblighi legali «nazionali e internazionali», al di qua della Manica la situazione è complessa. «Tutti gli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, tra cui tutti gli Stati membri dell’Ue, hanno l’obbligo di eseguire i mandati di arresto emessi dalla Cpi» ha detto all’Ansa un portavoce della Commissione. Il fatto è che non tutti sarebbero disposti ad arrestare Netanyahu. Per un Orbán che sfida apertamente la Corte, c’è la posizione imbarazzata di Berlino che riconosce di avere «relazioni uniche e una grande responsabilità nei confronti di Israele». «Sì, ma…» anche dall’Italia, che rinvia al G7 dei ministri degli Esteri che si terrà lunedì e martedì a Fiuggi. «Sì, assolutamente» è invece la posizione di Dublino e Amsterdam. Se Netanyahu mettesse piede sul suolo ungherese, «non sono sicuro di cosa potrebbero fare gli Stati», ha ammesso una fonte diplomatica. Aggiungendo che Orbán «sembra che sia tornato a “trollare” con la fine della presidenza in vista (il semestre ungherese all’Ue scade il 31 dicembre, ndr)». «Quello che a noi interessa è che si ponga fine alla guerra», si è limitato a dire il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. «Sull’antisemitismo credo che la posizione della Santa Sede sia chiara. L’abbiamo sempre condannato e continueremo a condannarlo», ha aggiunto in riferimento alle reazioni israeliane alle parole del Papa sulla legittimità di indagare se nella Striscia di Gaza sia stato commesso un genocidio.

Ma l’obiettivo di porre fine alla guerra appare lontano. Nel Sud del Libano si combatte intensamente attorno a Khiam, in posizione strategica in collina sopra la valle del Litani. Per la terza volta in una settimana è stata attaccata la base italiana di Shama della missione Onu. Due razzi da 122 millimetri «probabilmente lanciati da Hezbollah o gruppi affiliati», denuncia l’Unifil, hanno colpito un bunker e un’area logistica ferendo quattro italiani. Nessuno è in pericolo di vita. «L’attacco giunge nel mezzo di pesanti bombardamenti e scaramucce di terra nelle zone di Shama e Naqura, aumentando le tensioni», aggiunge la nota, sollecitando a «evitare di combattere vicino alle sue postazioni». «Profonda indignazione» è stata espressa dalla premier Giorgia Meloni. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato a Sky Tg24: «Così come abbiamo detto a Israele di prestare la massima attenzione per impedire che ci fossero proiettili, anche di artiglieria, che colpissero la nostra base, con altrettanta fermezza diciamo anche a Hezbollah che i militari italiani non si possono toccare». «Quest’organizzazione – ha aggiunto – non può pensare di giocare con le armi. Se non le sanno usare decidano di fare altro». Il ministro della Difesa, Giorgio Crosetto, ha ribadito che sta cercando di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano («cosa che è stata impossibile dal suo insediamento ad oggi») per chiedergli «di evitare l’utilizzo delle basi Unifil come scudo. Ancor più intollerabile – ha osservato - è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e dei civili».

A Tel Aviv, il neo ministro della Difesa Israel Katz è impegnato a occuparsi della Cisgiordania. Dopo aver informato i servizi interni (Shin Bet), ha annunciato l’abrogazione della detenzione amministrativa nei confronti dei coloni. La misura, che consente l’arresto fino a sei mesi senza imputazione per chi è sospettato di violenze in Cisgiordania, resta in vigore per i soli palestinesi.

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