Il lanco di un missile a capacità nucleare nordcoreano da un sottomarino - Ansa
«Non c’è modo di vincere una guerra nucleare». Per questo «non deve mai essere combattuta». L’affermazione, di per sé, non è particolarmente innovativa. Gli scienziati internazionali e il movimento pacifista lo ripetono da decenni. Se a formularla sono, però, le cinque “potenze atomiche ufficiali” – Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina –, in un messaggio congiunto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, il contenuto allora assume un valore rilevante. La dichiarazione, oltretutto, arriva in un momento di forte tensioni tra Mosca e l’Occidente sul dossier ucraina.
Nonché alla vigilia dell’inizio previsto per la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione. Con due anni di ritardo, causa pandemia, oggi, i 191 Stati firmatari avrebbero dovuto riunirsi a New York per il decimo incontro di aggiornamento dell’accordo. La rapida diffusione della variante Omicron ha fatto slittare ancora l’appuntamento, rimandato probabilmente ad agosto. In ogni caso, gli unici cinque Paesi sottoscrittori a detenere la “bomba” hanno voluto ribadire il loro impegno a rispettare gli obblighi del Trattato e a: «Proseguire su misure efficaci relative alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari al più presto e al disarmo nucleare e su un trattato di disarmo generale e completo sotto un controllo internazionale».
Le armi nucleari – si legge, inoltre – finché continueranno a esistere, dovrebbero servire per finalità difensive, scoraggiare l’aggressione e preservare la guerra. Crediamo fermamente che si debba prevenire l’ulteriore diffusione di tali armi». La logica della deterrenza – il possesso per scoraggiare aggressioni dall’avversario –, dunque, viene ribadita. La frase, però, contiene anche un avviso ai Paesi atomici non aderenti all’accordo di non proliferazione, ovvero India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Nel giorno della ripresa dei colloqui a Vienna dei 5+1 e Teheran, qualche analista vi ha visto anche un riferimento al dossier iraniano. «Ci auguriamo che la nostra dichiarazione contribuisca a ridurre il livello di tensione internazionale», ha commentato il Cremlino. E, secondo la Cina, aumenterà la «fiducia reciproca».
Le parole espresse dalle potenze atomiche contrastano, però, con le azioni compiute negli ultimi anni. Nel corso del 2020 – nel pieno dell’emergenza Covid –, Washington, Mosca, Pechino, Londra e Parigi hanno speso 67,4 miliardi di dollari per modernizzare i rispettivi arsenali nucleari, in base ai dati della International campaign against nuclear weapons (Ican), insignita del Nobel per la Pace per aver fatto approvare dall’Assemblea dell’Onu il bando all’atomica il 7 luglio 2017. Al divieto, non ha aderito nessun Paese del “club della bomba”, siano parte o meno del Trattato di non proliferazione. E, dalla dichiarazione rilasciata, neppure i cinque sembrano interessati a farlo.
«Il bando è l’unica via. Pur non essendoci un’apertura in tale direzione, il messaggio di Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna riconosce che le armi nucleari rappresentano un problema. E il fine deve essere quello di abolirle – afferma Francesco Vignarca, coordinatore della Rete pace e disarmo, parte di Ican per l’Italia insieme a SenzAtomica –. Certo, a questa consapevolezza devono seguire fatti concreti». Un primo passo, è il taglio degli investimenti atomici. Come ha ricordato anche il primo giorno dell’anno papa Francesco, nel messaggio per la Giornata della pace, la riduzione delle spese in armi «non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio».