Succede che in guerra, come in ogni guerra, il nemico braccato talvolta non si presenti con la faccia feroce del combattente, ma mostri i connotati mesti del figlio sperduto. Come Radislav, il soldato russo che in una fattoria ucraina viene nascosto da una coppia di agricoltori di mezza età. Non se la sono sentita di consegnarlo alla polizia. Per i russi è un disertore. Per i militari di Kiev un invasore. Non è il solo. A Mosca sono terrorizzati dalle fughe di notizie.
Ma i casi di diserzione si stanno moltiplicando, mentre molti soldati a contratto si sono dimessi. «Eravamo in Bielorussia, ci avevano detto che era un’esercitazione come le altre. Hanno mentito. In Ucraina ci venivo in vacanza, a trovare i parenti, adesso mi chiedono di ucciderli», ha spiegato Radislav. Fuggiaschi e disertori. Per necessità e per scelta. Attraverso svariate fonti in Europa, in Ucraina e in Russia siamo entrati in contatto con alcune delle famiglie russe, preoccupate per la sorte dei militari mandati allo sbaraglio all’assalto di Kiev. Il morale è ai minimi e le voci di ammutinamento non sono più solo «calunnie del nemico». Il colonnello russo Yuri Medvedev, comandante della 37esima brigata fucilieri motorizzati è stato deliberatamente travolto da uno dei suoi carri armati.
Una rappresaglia interna motivata dall’aver mandato a morte centinaia di ragazzi. Sui social sono state diffuse le immagini dell’ufficiale gravemente ferito e portato in Bielorussia, dove sarebbe morto.
Radislav è stato fortunato, ma non c’è modo di sapere come se la caverà. È stata la contadina che lo ha accolto a rassicurare la madre del soldato, in Russia. L’ha rincuorata e ha promesso che faranno in modo che nessuno gli faccia del male. Il giovanissimo carrista non aveva con sé né documenti né armi. In un filmato si vede la colonna di corazzati cadere in una imboscata.
Le immagini da un drone mostrano alcuni blindati danneggiati ma ancora inesplosi da cui saltano fuori quattro militari. Lo stesso accade più avanti. Scappano tutti dal lato opposto alla traiettoria dei lanciarazzi ucraini. Poi spariscono nella campagna.
Tra i ragazzi impiegati nei primi battaglioni incaricati di superare il confine dalla Bielorussia all’Ucraina non si trovano solo professionisti del combattimento armato. «Un volontario impiegato come musicista in una banda musicale militare – ci racconta una fonte russa vicina alla famiglia – un giorno è stato chiamato per una esercitazione ma poi è stato mandato a combattere al confine con l’Ucraina. I suoi genitori stanno cercando di farlo tornare indietro».
Altri militari di leva sono stati inviati in Bielorussia con il pretesto delle esercitazioni, «ma poi – spiega un attivista che fornisce consigli legali ai militari dissidenti – sono stati costretti a firmare un contratto di arruolamento e in tal modo si sono trasformati in “volontari” che perciò non possono sottrarsi alle battaglie». Ci sono poi i professionisti, «che però non vogliono partecipare a questa guerra e hanno chiesto di rescindere il contratto per motivi di coscienza. Tra questi, molti russi che hanno familiari in Ucraina». Per mettere a tacere questi casi i servizi segreti hanno escogitato una trappola. Nell’autunno del 2021, il Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (Fsb) ha pubblicato una lista di temi non sottoposti a segreto, ma passibili di ritorsioni legali. Se ne può parlare pubblicamente, ma a certe condizioni. Un’esca per incastrare i delatori e scoraggiarne la loquacità.
L’elenco delle «informazioni sensibili» ma non «top secret» contempla lo stato del morale dei militari, le loro condizioni materiali e di salute, le violazioni che avvengono nell’esercito. Chi divulgasse notizie inerenti questi argomenti non è immediatamente sottoposto a indagini, a una sola condizione: non dissentire. Un controsenso che nasconde un avvertimento: chiunque divulga quelle notizie in tono o in ambienti critici viene perseguito con l’accusa di tradimento. Tradotto: si può solo scrivere che il morale delle truppe è alto, che l’equipaggiamento è di prim’ordine, che tutto fila liscio e nessuno si sottrae agli ordini. Queste norme sono una delle leve per la manipolazione preventiva delle informazioni. A cominciare proprio dal nascondere l’esistenza di disertori, renitenti e obiettori di coscienza. Anche solo far conoscere la storia del fuggiasco Radislav, a Mosca costerebbe caro.
Il ministero della Difesa russo aveva assicurato che alla «operazione militare speciale» in Ucraina avrebbero partecipato soltanto i militari professionisti. Il 9 marzo ha poi dichiarato che tutti i coscritti mandati in battaglia – vale a dire i giovani del servizio di leva – erano stati richiamati dall’Ucraina, e per quelli catturati sarebbe stato profuso ogni sforzo affinché tornassero a casa. Affermare il contrario o porre in dubbio queste informazioni costituisce reato di tradimento. Ecco perché non si parla dei militari che si sottraggono ai combattimenti.
Ma a cosa si riferiva il portavoce dell’armata? Le storie ricostruite da Avvenire dopo settimane di ricerche, incontri sul campo, contatti riservati, verifiche incrociate con familiari e conoscenti dei militari in diversi Paesi europei, rivelano di cosa ha paura Mosca e del perché il Cremlino stia imponendo il bavaglio all’informazione. Con l’aiuto di organizzazioni per la libertà di scelta dei militari e del movimento degli obiettori russi sostenuti dalla War Resisters’ International di Londra, e in Italia dal Movimento nonviolento, abbiamo rintracciato molte famiglie che raccontano come «spesso i soldati non hanno con sé nessun documento d’identità militare o civile. Non possono usare la connessione Internet nell’area dell’unità militare e nei campi d’addestramento, e anche il semplice uso del cellulare può essere disciplinato dal comandante». In particolare, alla vigilia dell’invasione «i telefoni dei militari sono stati sequestrati e ogni chiamata deve essere autorizzata e supervisionata da un superiore».
Igor Konashenkov, capo del dipartimento dell’Informazione e delle comunicazioni esterne del ministero della Difesa pochi giorni fa si è espresso con sdegno. «Sfortunatamente alcuni dei fatti che riguardano la presenza di coscritti nelle unità delle Forze armate Russe che partecipano all’operazione speciale militare in Ucraina sono state scoperte».
LA SFIDA E I RISCHI DEGLI ATTIVISTI RUSSI E LA CAMPAGNA INTERNAZIONALE A DIFESA DEI RENITENTI AL COMBATTIMENTO
«Da quando si è capito che in guerra non ci vanno soltanto i militari professionisti, ma anche i coscritti (giovani di leva, ndr), anche chi è fuori età ha paura di essere richiamato. Molte persone stanno chiedendo come possono evitare di essere mandate al fronte, ed è un’occasione per parlare di obiezione di coscienza». Così Elena Popova, attivista di San Pietroburgo con alle spalle diverse denunce e arresti, racconta la preoccupazione di chi in guerra non vuole andarci. La sua voce è rilanciata dal Movimento nonviolento che in Italia e in Europa hanno promosso una iniziativa per l’obiezione alla guerra. Il Movimento nonviolento, aderente a Rete italiana pace e disarmo, propone di firmare una dichiarazione che sarà poi consegnata al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, allo Stato maggiore dell’esercito. Una libertà di opinione e di scelta che in Russia è una chimera.
«Gli insegnanti devono tenere lezioni speciali per spiegare per quale motivo è stato necessario andare in Ucraina», scrive ancora Popova. «Sono stati creati dei materiali dal ministero dell’Istruzione. Ci sono anche delle videolezioni». Ci sono stati casi in cui gli alunni hanno fatto qualche domanda di troppo, «e subito dopo i poliziotti sono andati a cercare i genitori».