Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha affermato domenica per la prima volta di essere favorevole alla costituzione di uno stato palestinese smilitarizzato accanto ad Israele, nel contesto di accordi definitivi di pace. Ma ciò, a due condizioni: che i palestinesi stessi riconoscano Israele come lo stato del popolo ebraico (e dunque rinuncino al cosidetto diritto del ritorno al suo interno per i profughi); e che Israele riceva ampie assicurazioni sulla effettiva smilitarizzazione della Palestina. In un discorso letto nel Centro Begin-Saadat dell' Università Bar Ilan di Tel Aviv Netanyahu ha assicurato di essere favorevole alla iniziativa di pace regionale proposta dal presidente Barack Obama e ha anche lanciato un appello ai dirigenti arabi affinché accettino incontri diretti e pubblici con lui, nelle loro capitali o a Gerusalemme. Ai palestinesi ha proposto di rilanciare subito negoziati di pace, senza precondizioni. Agli Stati Uniti che si attendevano oggi che Netanyahu pronunciasse una formula molto sintetica - 'Due Stati per i due popoli' - il primo ministro ha rilanciato con una frase più complessa: "Uno stato palestinese smilitarizzato accanto ad Israele, ossia lo stato del popolo ebraico". Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha definito comunque ''un grosso passo avanti'' l'impegno di due Stati preso dal premier israeliano Benyamin Netanyahu. Lo ha indicato in una dichiarazione il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs.''Il presidente - ricorda Gibbs - si e' impegnato per (una soluzione a) due Stati, uno Stato ebraico di Israele e una Palestina indipendente, nella patria storica dei due popoli. E' convinto che questa soluzione possa e debba garantire sia la sicurezza di Israele sia rispondere alle legittime aspirazioni dei palestinesi per uno Stato in grado di esistere''. Il portavoce della Casa Bianca aggiunge che ''il presidente continuera' a lavorare con tutte le parti - Israele, l'Autorita' Palestinese, gli Stati Arabi e i nostri partner del Quartetto - per vederli rispondere ai loro obblighi e alle responsabilita' necessari per giungere ad una soluzione a due Stati al conflitto israelo-palestinese e una pace complessiva nella regione''.Lo stato della Palestina, nella visione di Netanyahu, avrà effettivamente una bandiera e un inno nazionale, ma non un esercito. Non potrà nemmeno controllare del tutto il proprio spazio aereo, né stringere alleanze con Paesi ostili ad Israele. "Non possiamo certo accettare uno stato palestinese armato, un Hamastan", ha osservato il premier. Se la formula suggerita oggi da Netanyahu - accompagnata da un tono molto evasivo sul futuro delle colonie - possa essere sufficiente per appagare i desideri di Obama, non è ancora chiaro. Molto palpabile, invece, la delusione dei palestinesi. La richiesta di Netanyahu di tornare a negoziare "senza precondizioni" è stata interpretata a Ramallah come un evidente tentativo di rimuovere dal tavolo quanto era stato raggiunto in anni di laboriosi negoziati con Ehud Olmert e con Kadima. I dirigenti dell'Anp hanno anche notato che mentre Netanyahu descriveva un futuro sereno di cooperazione e di concordia fra israeliani e palestinesi nello stesso lembo di terra, egli è invece rimasto vago sui confini dello futuro stato e non si è impegnato affatto al congelamento delle colonie. Gerusalemme, secondo Netanyahu, dovrà restare sotto controllo israeliano. La questione dei profughi dovrà essere risolta fuori dai confini di Israele, ha aggiunto il premier. Israele si attende inoltre dall'Anp "che ripristini l'ordine a Gaza": ossia che si misuri contro Hamas. "A queste condizioni - ha esclamato il negoziatore Saeb Erekat - Israele troverà un partner palestinese di pace solo fra mille anni". In Israele invece le prime reazioni a caldo del discorso di Netanyahu sono sostanzialmente positive. Il leader del Likud, viene notato, ha sposato le posizioni dei partiti di centro, e non è più molto lontano da Kadima, il partito di Tzipi Livni. Questo era forse l'obiettivo principale del primo ministro: stringere le fila politiche all'interno di Israele per poter far fronte compatti alla minaccia maggiore che incombe su Israele: l'Iran di Mahmud Ahmadinejad e i suoi progetti nucleari.