Una delle manifestazioni di protesta contro Netanyahu
A oltre 180 giorni dal crimine di Hamas contro centinaia di civili inermi, Israele non ha centrato nessuno degli obiettivi apparentemente dichiarati: distruggere Hamas, liberare gli ostaggi, stabilire le condizioni per riportare sicurezza nel Paese, mettere in riga i vicini arabi. Ma era questo il vero scopo di Netanyahu e dell’ultradestra israeliana?
Danny Yatom, ex capo del Mossad, il potente servizio segreto israeliano, ha accusato il premier di impedire deliberatamente il ritorno degli ostaggi. «Hai rovinato la nostra unità, che era l’unica nostra possibilità di successo - ha detto Yatom partecipando alla manifestazione antigovernativa a Cesarea - se hai un briciolo di patriottismo, dimettiti. Ma lui non si dimetterà, allora noi lo cacceremo». Anche il generale a riposo ed ex capo delle forze di terra , Guy Tzur, è intervenuto accusando Netanyahu di avere il sangue degli ostaggi «sulle sue mani» e di aver «iniziato un conflitto con gli Stati Uniti e con il mondo» che è «un grande regalo all’Iran e agli Hezbollah». E proprio da Teheran si teme una rappresaglia dopo l’uccisione mirata di generali iraniani a Damasco per mano di Israele.
La sequenza di errori, allarmi sottovalutati, accuse per crimine di genocidio, denunce per violazioni del diritto internazionale e attacchi indiscriminati sui civili palestinesi a Gaza nel corso dell’operazione “Spade di ferro”, fanno escludere che una tale sequela di “danni collaterali” siano stati solo un deprecabile fallo di reazione. Per dirla con il quotidiano israeliano Haaretz, mai tenero con il governo, «oggi è chiaro a tutti, tranne che ai ciechi seguaci, che le promesse di “vittoria totale” che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto a giorni alterni sono totalmente prive di valore». Anzi, «un tradimento dell’umanità», dice il capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), Martin Griffiths.
La risposta al massacro del 7 ottobre – più di 1.200 israeliani uccisi e sadicamente brutalizzati, la maggior parte civili, oltre a 253 rapiti – hanno prodotto un duro colpo ad Hamas, la conquista di territori, l’evacuazione forzata della popolazione dal nord della Striscia, insieme a più di 20.000 civili palestinesi uccisi, secondo stime accreditate anche dal Dipartimento di Stato Usa. Quanto ai membri di Hamas uccisi, l’esercito ha fornito stime in una forbice tra 9.000 e 12.000. La stessa organizzazione fondamentalista nel febbraio scorso all’agenzia Reuters aveva parlato di 6.000 «martiri». Il numero reale sta probabilmente a metà. A parte Marwan Issa, vice comandante dell’ala militare di Hamas, nessuno dei leader più ingombranti è stato ucciso né catturato. A cominciare dall’imprendibile Yayha Sinwar, boss dell’organizzazione nella Striscia. Israele ha parlato di 113 leader fondamentalisti colpiti. Ma quando ha fornito i nomi alla Bbc, si è scoperto che nell’elenco alcuni nomi erano stati duplicati.
La teoria secondo cui l’invasione di Gaza avrebbe facilitato il rilascio degli ostaggi israeliani o la loro liberazione per merito dei blitz armati, si è rivelata claudicante. Ieri il corpo di Elad Katzir (47 anni), rapito lo scorso 7 ottobre dalla Jihad islamica alleata di Hamas durante il raid nel kibbutz di Nir Oz, è stato recuperato dall’esercito secondo cui l’uomo è stato ucciso durante la prigionia. Altri prima di lui erano morti a causa dei bombardamenti sulla Striscia. Ad oggi metà degli ostaggi restano prigionieri a Gaza, Israele rischia un crescente isolamento internazionale, e le prospettive non sono quelle di un tempo di sicurezza e pace. Difficile, perciò, riconoscere che “Spade di ferro” possa essere considerata un successo.
Il fronte palestinese, prima piuttosto frammentato, sta ritrovando compattezza grazie agli “errori” di Netanyahu, In questi mesi gli insediamenti illegali in Cisgiordania si sono moltiplicati tra le violenze: quasi 300 “colonie” con 700mila israeliani che vi risiedono senza averne il diritto.