sabato 15 gennaio 2022
I pastori si rivolgono al popolo: non perdete la speranza. La leader Suu Kyi colpita da altre 5 accuse dei golpisti: rischia più di 100 anni di carcere oltre gli otto che le sono già stati inflitti
La leader democratica Aung San Suu Kyi in una foto del gennaio 2021

La leader democratica Aung San Suu Kyi in una foto del gennaio 2021 - Ansa

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Si fa sempre più pesante in Myanmar la situazione di Aung San Suu Kyi: ieri lei e il presidente Win Myint sono stati rinviati nuovamente a giudizio per 5 casi di corruzione, reato che prevede pene altissime. Da dicembre, sono stati due i processi conclusi contro l’ex presidente di fatto per complessivi 8 anni di carcere, ma il bilancio finale potrebbe salire a più di 100 anni anni di detenzione per la 76enne. Prosegue il tentativo di piegare alla collaborazione con la giunta militare e isolare quella che per i birmani resta il simbolo di una democrazia ora negata. Una conferma è arrivata dall’Aja. Non sarà più lei, agli arresti dal golpe di febbraio 2021, a guidare la delegazione che il mese prossimo dovrà contestare la giurisdizione della Corte penale internazionale sul caso per genocidio contro il Myanmar. A comunicarlo è stato lo stesso procuratore generale, il gambiano Dawda Jallow, che ha promosso il procedimento che cerca di individuare le responsabilità per le violenze del 2017 contro i Rohingya. (S.V.)

Un nuovo, vibrante appello alla preghiera per la pace in Myanmar. A lanciarlo – a quasi un anno dal fatidico primo febbraio 2021, giorno del golpe che ha riportato i militari al potere nell’ex Birmania – è monsignor Marco Tin Win, arcivescovo di Mandalay. Secondo quanto riferisce Uca News, il presule ha chiesto di organizzare un’ora di adorazione ogni sabato sera nelle varie comunità cattoliche e di celebrare una Messa speciale ogni prima domenica del mese, per chiedere la pace per in Myanmar. Tutti i cattolici del Paese (650mila su una popolazione di 54 milioni di abitanti), sono stati invitati a unirsi al vescovo nella preghiera per la nazione che si trova ad affrontare «la crisi del Covid-19, la carestia, le guerre civili e le torture».

Marco Tin Win, 62 anni, è una figura di particolare spicco in Myanmar e non solo perché guida, dal 2019, la diocesi della seconda città del Paese. Nei giorni immediatamente successivi al colpo di Stato, condotto dal generale Min aung Hlaing, comandante in capo delle Forze armate birmane, l’arcivescovo era stato immortalato con le tre dita della mano alzate, simbolo delle proteste popolari in favore della democrazia: un segnale forte di adesione alla rivolta popolare.

Nel suo appello l’arcivescovo invita i cattolici – che mai come oggi si erano mobilitati in passato per dire il proprio fermo «no» al regime militare – a non perdere la speranza e a rafforzare la fede in Dio, nonostante la paura e l’angoscia.

La situazione in Myanmar è grave e non si intravedono soluzioni a breve. Un rapporto Onu pubblicato l’11 gennaio attesta che nei primi giorni dell’anno quasi 200mila persone sono state sfollate nel sud-ovest del Paese e circa cinquemila hanno attraversato il confine con la Thailandia. Inoltre, nelle regioni di Sagaing, Magway e Chin sono più di 1.500 le abitazioni e le strutture distrutte o bruciate: tra queste alcune scuole e chiese. Negli ultimi mesi, inoltre, le aree dove vivono le principali minoranze etniche, prevalentemente cristiane, come Kayah, Chin e Karen, hanno assistito ad un’escalation dei combattimenti tra la giunta militare e le forze armate ribelli. Molti civili sono stati costretti ad abbandonare le loro case per rifugiarsi nella foresta o in strutture religiose, talora però vittime anch’esse di bombardamenti.

Il 24 dicembre scorso l’episodio più sconvolgente: nel villaggio di Mo So, nello stato Kayah, l’esercito birmano ha massacrato 35 civili cattolici, tra i quali donne e bambini e due operatori locali dell’Ong Save the children. Il cardinale Charles Maung Bo, dando voce allo sdegno della comunità cattolica birmana, ha definito l’accaduto «disumana barbarie».

Il giorno prima il porporato aveva ricevuto Min aung Hlaing nella sua residenza a Yangon per lo scambio formale di auguri di Natale e in quell’occasione aveva rivolto al generale un messaggio di pace, affermando: «Il Santo Padre è profondamente rattristato nel sapere della situazione attuale in Myanmar e ha ripetutamente pregato e chiesto di lavorare con decisione e forza per la pace, lo sviluppo, la serenità».

La visita del generale al presidente dei vescovi birmani (motivata, secondo un organo di stampa locale, dalla necessità di affrontare «affari relativi alla pace e alla prosperità») ha, però, suscitato polemiche in Myanmar.

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