Irina Scherbakova - Max Allegritti - Università Cattolica
«Sono stata pacifista per decenni, per me è stato molto difficile cambiare idea: questa è una catastrofe anche a livello psicologico. Vorrei fare un appello in favore della pace, ma non è questo il momento». Lo sguardo di Irina Scherbakova, co-fondatrice di “Memorial” dopo mezz’ora di serrata analisi, si vela. Un attimo di mestizia che scalfisce appena la determinazione del ragionamento di questa intellettuale russa 74enne Premio Nobel per la pace 2022, ieri ospite dell’Aseri dell’Università Cattolica.
Irina Scherbakova, il 28 dicembre 2021 è stata chiusa Memorial. Poi Putin ha avviato l’ «operazione militare speciale». Cosa hanno rappresentato questi due anni di «stop forzato»?
Sin dall’inizio Memorial è stata una rete: già 20 anni fa erano più di 80 organizzazioni in Russia, più altre in Europa, Ucraina compresa. Una rete non poteva essere liquidare subito ma la pressione negli anni è aumentata: perquisizioni delle sedi, multe, cause. Così molti nostri cooperanti hanno lasciato la Russia. Per il nostro lavoro storico abbiamo raccolto degli archivi che, in cinque anni, abbiamo digitalizzato all’80%. Intanto i nostri difensori dei diritti umani hanno continuato a raccogliere documentazione sui crimini commessi nei vari Paesi e in esilio sono rinate altre organizzazioni: in Lituania, in Germania, nella Repubblica Ceca per aiutare i colleghi rimasti in Russia. E in Francia, in Belgio e in Italia, ad esempio, ci sono organizzazioni autonome che ci hanno appoggiato. Ora ci siamo ricostruiti come rete, siamo 15 organizzazione riunite come Associazione Internazionale Memorial.
Veniamo al suo intervento nell’aula magna dell’Università Cattolica di Milano. E partiamo proprio dal titolo: «Come ricostruire la pace in Europa»?
Per creare una pace giusta bisogna difendere la pace con le armi. Ce l’ha insegnato la seconda guerra mondiale: per vincere il nazismo si è dovuto combatterlo con le armi. Non arriveremo alla pace attraverso dei negoziati con Putin, questa guerra deve essere fermata con le armi e i responsabili dei crimini contro l’umanità che sono stati commessi devono essere portati davanti alla giustizia penale internazionale. Solo così possiamo sperare si creino le basi per una pace. Eravamo convinti, dopo il 1945, di aver creato dei meccanismi per la pace, ma dopo questi ultimi fatti tragici tutto il sistema in Europa, l’Onu, la Nato deve essere reinventato.
Memorial è nata per denunciare i crimini dell’Urss. Ora si parla di genocidio in Ucraina. Com’è possibile che tali crimini si ripetano pochi decenni dopo nelle stesse terre?
Per noi è una grande sconfitta perché questo significa il nostro lavoro di elaborazione storica non ha prodotto l’effetto atteso. La seconda guerra mondiale ci ha insegnato che bisogna difendere la libertà di espressione perché se non creiamo meccanismi che difendono la democrazia, se il sistema giudiziario non viene riformato, se lo Stato diventa uno Stato di polizia allora si offre l’opportunità alla propaganda. Le persone cadono facilmente vittime del populismo e del nazionalismo, diventa molto difficile combattere l’idea imperiale di una Grande Russia per cui molti l’Ucraina non è uno Stato indipendente. Non credo al determinismo storico, la Russia aveva una opportunità ma non l’ha colta mentre pochissimi, vale a dire Putin e il suo entourage, hanno deciso di iniziare questa guerra. Ora la priorità, per tutti quelli che sono contro la guerra e contro Putin, è di lavorare per sostenere l’Ucraina. Putin deve perdere questa guerra. E poi è importante il lavoro in rete con le fondazioni, le università, gli scienziati: i motivi di questa guerra li ha forniti Putin attraverso la sua versione della storia completamente falsificata. Mi lasci parlare poi del ruolo molto negativo della Chiesa ortodossa, diventata la Chiesa di Stato giustificando la guerra agli occhi dei suoi fedeli. Il trasferimento dell’icona della Trinità di Rublev da un museo statale a un monastero ortodosso, è stato un brutto colpo per la nostra cultura.
Un «brutto colpo» è pure che papa Francesco non sia riuscito ad incontrare il patriarca Kirill. E poi che Zelensky abbia rifiutato ogni proposta di mediazione.
È naturale che la Chiesa preghi per la pace, ma forse ci sarebbero voluti dei gesti più forti per far vedere qual è la parte che si sostiene, anche se l’incontro di papa Francesco con Zelensky è stato un molto importante.
Papa Bergoglio ha detto che sarebbe andato a Kiev qualora fosse possibile andare a Mosca.
Non servirebbe a nulla andare a Mosca, non credo che li si possa portare alla ragione.