martedì 28 novembre 2017
Oggi il Consiglio di Sicurezza dell'Onu discute del caso schiavi
I trafficanti rompono la «tregua»: ripartono i barconi
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Quasi 1.500 persone arrivate in Italia in meno di due giorni. Altrettante quelle intercettate e riportate in Libia. Con i trafficanti che dopo avere rispettato una tregua remunerata da «aiuti» e promesse di progetti politico-economici, tornano ad alzare il prezzo sfidando la comunità internazionale. Partenze massicce che lasciano sui migranti le cicatrici visibili della detenzione e quelle invisibili dei traumi patiti.

Argomenti che oggi saranno discussi durante la riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu su richiesta della Francia proprio mentre a presiedere l’organismo è l’Italia, il Paese più esposto nella transizione libica. La riunione, viene fatto sapere da New York, è stata sollecitata per discutere la questione del traffico di schiavi, dopo i filmati diffusi dalla Cnn. L’incontro, precisa in una nota il ministero degli Esteri francese, «consentirà alla comunità internazionale di mostrare la sua unità dinanzi a queste pratiche abiette e di prevedere nuove misure per lottare contro il traffico e la tratta dei migranti in Libia».

Le testimonianze fornite dai migranti agli operatori umanitari - non ai giornalisti, a cui ancora una volta è stato vietato di avvicinarsi durante le operazioni di sbarco nel porto di Catania nonostante gli accrediti concessi dalla Prefettura – non lasciano dubbi. I 421 sopravvissuti condotti ieri nel porto etneo facevano parte «di uno stes- so gruppo detenuto per diversi mesi in prigioni clandestine di Sabratha, poi di recente trasferiti a Bani Walid, e conosciuto per essere un centro nevralgico del traffico di esseri umani in Libia», raccontano da Sos Mediterranée. Si tratta di un’area espugnata alcune settimane fa dai militari agli ordini del generale Haftar, nemico del governo riconosciuto. E da altre spiagge, presumibilmente controllate sempre da uomini di Haftar, sono avvenute la gran parte delle partenze degli ultimi giorni. «Erano stipati su un natante in legno e quasi due terzi di loro - rivela Luca Salerno, medico di Msf - hanno la scabbia. Il 40% sono donne: una ha il bacino fratturato e altre due hanno partorito da 3-5 giorni, e sono stati ricoverati in ospedale con i neonati a Catania. Un bambino eritreo di tre anni ha avuto un attacco epilettico e con la madre e il fratellino sono stati evacuati durante il viaggio: adesso è in gravi condizioni a Messina».

Molti non ce la fanno, come avvenuto con il naufragio di due barconi sabato mattina, provocando decine di morti e dispersi. Il primo bilancio destinato a salire stima 30 persone morte e 200 salvate e riportate a Tripoli. I dispersi potrebbero essere 40. Alcuni corpi sarebbero stati divorati dagli squali, ha fatto sapere la Marina libica, senza fornire prove.

Tra i morti dei giorni scorsi vi è la donna che dopo avere partorito suo figlio, venuto alla luce privo di vita, è rimasta agonizzante per tre giorni a causa di una emorragia interna. I carcerieri l’hanno lasciata riversa in terra e senza alcuna cura per tre giorni. Quando è arrivato il momento di lasciare il lager, uno dei tanti gestiti dai trafficanti, i carcerieri hanno ordinato ai prigionieri di salire sul barcone e di portare con sé anche la donna: «Buttatela a mare e andate a morire anche voi». Il cadavere della giovane eritrea di 24 anni è stato poi trovato nel barcone dai soccorritori ai quali i testimoni hanno raccontato la vicenda. Il corpo è stato vegliato durante tutta la traversata: «Perché era una nostra sorella». I superstiti, 431 in totale, sono arrivati nel porto commerciale di Augusta (Sr) a bordo della nave della Ong spagnola 'Open arms'. La salma è stata trasferita nell’obitorio di Siracusa. «Non potevamo gettarla in mare, qui avrà pace», hanno detto i testimoni ai volontari.

Venerdì scorso, intanto, all’equipaggio della nave Aquarius di 'Sos Mediterranée' è stato «impedito dalla guardia costiera libica il soccorso di gommoni che stavano per fare naufragio». Lo conferma il coordinatore di Medici senza frontiere, Luca Salerno, che era nella sala comando. «Eravamo in acque internazionali - ricostruisce Salerno - e abbiamo visto il primo gommone in difficoltà, poi ne sono arrivati altri. Invece di essere autorizzati a intervenire subito ci hanno messo in 'stand-by' per 4 ore, in attesa dell’arrivo di motovedette e navi libiche che hanno caricato i migranti a bordo e li hanno riportati di nuovo in Libia».

Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, osserva che «la Libia attualmente non è in grado di far fronte al flusso di migranti che l’attraversano rispettando diritti umani e convenzioni internazionali sul diritto d’asilo». Per questo «è inaccettabile che i governi europei stabiliscano accordi con precarie e instabili autorità libiche sul contenimento dei flussi».

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