Un nuovo rapporto dell’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), che riporta dati raccolti in oltre 40 Paesi, descrive in dettaglio le molte facce della violenza verso i minori nel mondo. Tra queste, la realtà dello sfruttamento sessuale. Sarebbero almeno 15 milioni le minorenni costrette ad abusi sessuali, con una forte responsabilità che ricade sull'ambiente familiare e di vicinato, scolastico, tra le amicizie e i primi legami sentimentali.
Insomma, tra le conoscenze che per prime dovrebbero fornire a bambine e adolescenti un ambiente ideale alla crescita fisica e psicologica ma che trasformano in un inferno la quotidianità di tante. «L’idea che le donne siano a disposizione degli uomini è un fattore importante nell’incentivare la violenza sessuale sulle giovani», ricorda la coordinatrice Claudia Cappa nel rapporto A Familiar Face – Violence in the lives of children and adolescents (Un volto familiare. La violenza nelle vite di bambini e adolescenti) . Ma lo è anche – denuncia l’Unicef – la crescente convergenza tra predatori sessuali e tecnologia. Comunque, un problema diffuso al punto da impedire potenzialmente alla comunità globale di raggiungere gli Obiettivi dello Sviluppo sostenibile, ovvero i traguardi fissati dall’Onu per mettere fine a povertà, discriminazione e degrado ambientale entro il 2030.
Ad aggravare la situazione, è il dato che forse solo l’uno per cento dei casi di violenza vengono denunciati, impedendo così una presa di coscienza generalizzata che spinga a efficaci iniziative di contrasto. Una problematica diffusa, che interessa pressoché tutte le aree del globo anche se con diversa intensità. Citato come il peggiore, il caso del Camerun, Stato dell’Africa occidentale dove un sesto delle minorenni subisce violenza. L’Asia si impone per l’estensione degli abusi. Se nelle aree ad alta densità di popolazione e basso tenore di vita (India, Pakistan, Bangladesh, Nepal, Cina) lo sfruttamento segue le linee di altre zone del mondo, con simili caratteristiche sociali ma con l’aggravante di vasti network pronti a approfittare di ogni situazione di disagio o di esclusione, soprattutto nel Sud-Est asiatico su queste dinamiche ne convergono altre.
In Cambogia, Filippine, Indonesia, Malaysia, Thailandia, meno in Myanmar, Laos e Singapore, un contributo alla violenza sessuale arriva dalla mobilità regionale e internazionale, con un intenso flusso di viaggiatori estremo e medio-orientali o occidentali che incentiva forme deleterie di turismo o di presenza straniera. Realtà che si innescano, aggravandola, su una commercializzazione sessuale già vasta e anzitutto destinata a una clientela locale. Un secondo elemento è l’uso – anche questo sempre più intenso – delle tecnologie di acquisizione e distribuzione di materiale pornografico, ma anche di tecnologie che incentivano incontri e situazioni a rischio, soprattutto per i più giovani. Davanti all’emergenza globale, servono leggi migliori a protezione dei minori e maggiore impegno dei servizi sociali governativi perché, come ricorda ancora la coordinatrice Claudia Cappa, «di particolare successo risulta l’impegno congiunto con i governi per sviluppare piani nazionali di azione che cercano di connettere diversi settori, come quello educativo e della giustizia».