Almeno 53 persone, di cui 6 bambini, sono rimaste uccise nel raid aereo che ha colpito un centro di detenzione di migranti a Tajoura alla periferia orientale di Tripoli, in Libia. La maggior parte delle vittime proveniva dall'Africa orientale. Oltre 130 i feriti. Ismail Mohammed, uno dei portavoce della comunità dei rifugiati dal Sudan in Italia, in contatto con i sopravvissuti sudanesi, parla di cento vittime. «Molti dei feriti sono in condizioni gravissime e mancano all'appello una ottantina di migranti, per lo più gente del Sudan, molti del Darfur come me, ma anche somali, eritrei, etiopi», aggiunge.
Il governo di unità nazionale di Tripoli, riconosciuto dall'Onu e dalla comunità internazionale, accusa del raid le forze del sedicente Esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Haftar. Il primo ministro Fayez al Serraj in una dichiarazione ha parlato di attacco «premeditato» e «preciso» e denunciato «il crimine odioso».
Un portavoce delle forze del generale Haftar (Eln) ha detto che il raid era mirato contro la vicina base militare. «Non avevamo ordini di prendere di mira il centro», ha detto il generale Khaled el-Manjoub accusando le forze governative di sfruttare i migranti come «scudi umani piazzandoli in depositi di munizioni». Il portavoce dell'Eln, Ahmed al Mismari, ha aggiunto: «È un complotto dei terroristi (termine usato per indicare le milizie a protezione di Tripoli, ndr) per infangare la nostra immagine: sono soliti accusarci dei loro crimini». E ha chiesto «un'indagine internazionale indipendente sull'attacco».
E di inchiesta indipendente parla anche il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres. L'Italia, dal canto suo, ha proposto all'Unione Europea una presa di posizione unitaria che sostenga l'apertura di un'inchiesta Onu. «Questo bombardamento costituisce chiaramente un crimine di guerra» ha dichiarato in una nota pubblicata dall'Unsmil il Rappresentante speciale dell'Onu per la Libia, Ghassan Salamé. L'inviato delle Nazioni Unite «ha invitato la comunità internazionale a condannare questo crimine e a imporre sanzioni a coloro che l'hanno ordinato» ed «eseguito».
L'Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, ha dichiarato che «l'attacco scioccante e tragico contro un centro di detenzione a Tripoli ci ricorda il costo umano del conflitto in Libia, così come la situazione terribile e vulnerabile dei migranti intrappolati nella violenza del paese. La violenza contro i civili, inclusi i rifugiati e i migranti, è assolutamente inaccettabile e la condanniamo nei termini più duri».
Colpiti alle spalle dalle guardie mentre fuggivano
Il raid aereo è avvenuto nella notte a Tajoura, quartiere a una ventina di chilometri a est della capitale. Si è trattato di due bombardamenti a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro.
Dopo che il centro di detenzione migranti è stato colpito per la prima volta, le persone hanno tentato di fuggire: le guardie hanno sparato contro di loro. Lo ha riferito l'ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, in un rapporto sui fatti avvenuti in Libia, sottolineando che si tratta di testimonianze. L'agenzia aggiunge che il centro era già stato colpito in precedenza, a causa della vicinanza con una base militare.
L'aereo che ha compiuto il raid «probabilmente è egiziano o degli Emirati» arabi uniti (Eau), ha detto in mattinata un consigliere comunale di Tripoli, Ahmed Wali, riferendosi a due Paesi che appoggiano l'esercito di Haftar.
Nell'hangar erano recluse circa 600 persone, in maggioranza originarie di Eritrea, Somalia e Sudan. A fornire il dato è ll'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), testimoni locali parlano invece di 150 migranti detenuti. Molti di loro, denunciano alcuni media internazionali, erano rinchiusi a causa dei rimpatri della Guardia costiera libica finanziata dall'Unione Europea. Alcuni attendevano di conoscere il proprio destino anche da due anni.
L'offensiva del generale Haftar contro Tripoli
La Libia è divisa tra due governi in guerra e le forze di Haftar controllano gran parte dell'est e del sud del Paese.
CHI È IL GENERALE HAFTAR CHE DETTA LEGGE IN LIBIA di Giorgio Ferrari
Il braccio di ferro tra il governo tripolino, riconosciuto dall'Onu, e quello del generale Haftar con sede in Cirenaica, si è fatto più duro da aprile, quando il militare ribelle ha intensificato gli attacchi per conquistare Tripoli, con rischi per la popolazione e per i migranti, impossibilitati a lasciare i centri di detenzione. In totale si tratterebbe di poco più di 5.800 persone, stando a dati dell'Onu.
Le ombre sulla politica Ue su Libia e migranti
Il dramma che si è consumato a Tajoura getta una nuova ombra sulle politiche migratorie degli Stati europei, a cui da tempo le organizzazioni umanitarie chiedono di portare via i migranti bloccati nei centri. «5.800 persone non è un numero enorme, è impossibile che i governi europei non riescano a trovare una soluzione», aveva dichiarato già il mese scorso Julien Raickman, responsabile di Medici senza frontiere.
Nel mirino delle critiche sono finite anche le agenzie delle Nazioni Unite per migranti e rifugiati, dopo che domenica è circolata la notizia della morte di 20 migranti per fame, sete e malattie nel centro di detenzione di Zintan, nel nord. L'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) si è giustificato spiegando che a causa del conflitto armato gli operatori non possono più raggiungere liberamente questi luoghi.
Dopo il bombardamento di Tajoura, l'Unhcr in una nota ha condannato l'attacco e sollecitato le parti in guerra a risparmiare i civili, i quali «non possono mai essere un obiettivo».
Da mesi l'Onu denuncia le condizioni allarmanti dei migranti nei centri di detenzione libici.
Caritas: una tragedia annunciata
Quella di Tajoura è stata «una tragedia annunciata, visto l'intensificarsi del conflitto armato e le condizioni in cui versano le persone nei centri di detenzione prossimi alle aree di guerra». A dirlo è la Caritas italiana, in una nota in cui aggiunge: «Salgono a più di cento i morti tra i civili - che come sempre sono le vittime innocenti della guerra - e si contano oltre 100.000 persone sfollate e altrettante che necessitano di assistenza umanitaria».
Caritas denuncia come «particolarmente grave» la situazione dei migranti in Libia «costretti a vivere in condizioni già disperate e per di più con il rischio di attacchi come quello della notte scorsa».