martedì 8 ottobre 2024
Circondate le basi di Unifil. Ucciso il generale Husseini: faceva arrivare ai miliziani le armi dall’Iran. Il numero due di Hezbollah, Qassam: «Stiamo resistendo», ma secondo la Cnn apre a una tregua
Il villaggio di Khiam bombardato dalle truppe israeliane nel sud del Libano

Il villaggio di Khiam bombardato dalle truppe israeliane nel sud del Libano - Ansa

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Sulle rovine di Maroun al-Ras, nel sud del Libano, sventola la bandiera con la stella di David. I soldati si sono filmati mentre la issavano. Poco distante, i caschi blu sono rinchiusi nei bunker. Fotografie satellitari mostrate da al-Jazeera indicano che la base Unifil è circondata da decine di veicoli israeliani. Con una quarta divisione entrata ieri a calcare il suolo libanese, per la prima volta occupato anche da ovest, sarebbero 15mila i soldati impegnati, secondo i media israeliani. Nell’ennesimo raid su Beirut, l’esercito ha annunciato l’uccisione del comandante del quartier generale di Hezbollah, Suhail Hussein Husseini, cruciale nel trasporto di armi dall’Iran. Un raid ha colpito anche in Siria, dove si registrano quattro morti in un edificio di Damasco frequentato dai pasdaran iraniani. Dal sud del Libano, Hezbollah ha bersagliato Haifa: un centinaio di razzi in poco più di mezz’ora, intercettati dal sistema antimissile. E in serata, secondo quanto riporta il quotidiano israeliano Haaretz, il direttore dell'ospedale Kamal Aswan, situato a Beit Lahia nel nord di Gaza, ha detto di aver ricevuto un ordine di evacuazione della struttura entro 24 ore dalle forze armate israeliane.

In un messaggio rivolto ai libanesi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato l’uccisione, la scorsa settimana a Beirut, di Hashem Safieddin, successore in pectore di Nasrallah alla guida di Hezbollah. E ha evocato scenari apocalittici: «Avete l’opportunità di salvare il Libano prima che cada nell’abisso di una lunga guerra che porterà alla distruzione e alla sofferenza, come vediamo a Gaza. Non deve essere così». «Quello che sta accadendo a Beirut non è ciò che volevamo» ha rivelato alla Cnn una fonte dell’amministrazione americana. Oggi il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, è atteso a Washington per incontrare l’omologo Lloyd Austin. Sul tavolo del Pentagono il piano israeliano per l’attacco all’Iran. Ma a poche ore dalla partenza, in serata, è arrivato l’altolà di Netanyahu: Gallant non parte se prima Biden non mi telefona, avrebbe detto stando al retroscena riportato dai media. La richiesta è chiara: avere mano libera per agire contro Teheran. La Casa Bianca teme che una mossa inconsulta possa far precipitare la regione in una guerra prolungata su vasta scala. «Ci troviamo di fronte al pericolo reale di un’ulteriore escalation», ha denunciato il direttore della Cia, William Burns, citato da Cbs News.

Due settimane dopo che Netanyahu ha respinto al mittente franco-americano la proposta di una tregua di 21 giorni con Hezbollah, l’azione diplomatica americana si limita alla riduzione del rischio. Alla speranza in un accordo si aggrappa invece Beirut. Il presidente del parlamento Nabih Berri immagina una tregua di quattro settimane che porti a un cessate il fuoco, con garanzie sulla ricostruzione e il ritorno degli sfollati. L’autorità libanese garantirebbe l’attuazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, quella che nel 2006 stabilì la Linea Blu di separazione da Israele. «Sosteniamo gli sforzi politici guidati da Berri che mirano al cessate il fuoco» ha dichiarato in televisione il leader de facto di Hezbollah, Naim Qassam, in un discorso per il resto dai toni poco distensivi. «Le nostre capacità militari sono intatte. I nostri combattenti in prima linea sono solidi». Più che un segnale, un sintomo di difficoltà. Colpito pesantemente, prima nel sistema di comunicazioni con le esplosioni dei cercapersone e delle radio e subito dopo sul terreno, il gruppo vorrebbe tempo per riorganizzarsi.

Si muove anche la diplomazia iraniana. Il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, ieri ha fatto tappa in Arabia Saudita per incassare la neutralità dell’avversario sunnita. L’obiettivo è quello di «dar vita a un movimento collettivo dei Paesi della regione per fermare i brutali attacchi». Araghchi, che di recente è stato a Beirut e a Damasco, ha ricordato che «la politica dell’Iran è quella di sostenere i movimenti di resistenza. Non siamo alla ricerca di un aumento delle tensioni e nel frattempo le nostre forze armate sono pronte per qualsiasi scenario». Non la pensa così Gallant: «Quando il fumo in Libano si sarà diradato, l’Iran capirà di aver perso la sua risorsa più grande».

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