martedì 8 ottobre 2024
Circondate le basi di Unifil. Ucciso il generale Husseini: faceva arrivare ai miliziani le armi dall’Iran. Il numero due di Hezbollah, Qassam: «Stiamo resistendo», ma secondo la Cnn apre a una tregua
Il villaggio di Khiam bombardato dalle truppe israeliane nel sud del Libano

Il villaggio di Khiam bombardato dalle truppe israeliane nel sud del Libano - Ansa

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Passa dall’evoluzione del conflitto in Libano, e dalla possibile escalation tra Israele e l’Iran, il futuro dello scacchiere mediorientale. «Quello che sta accadendo a Beirut non è ciò che volevamo» ha rivelato alla Cnn una fonte dell’amministrazione americana. Domani il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, sarà a Washington dall’omologo Lloyd Austin. A preoccupare la Casa Bianca è che una mossa inconsulta possa far precipitare la regione in una guerra prolungata su vasta scala. «Ci troviamo di fronte al pericolo reale di un’ulteriore escalation», ha denunciato il direttore della Cia, William Burns, citato da Cbs News. Israele, ha spiegato, «sta valutando con molta attenzione» come rispondere alla rappresaglia iraniana della scorsa settimana, ma resta il rischio di «valutazioni errate».

Due settimane dopo che Benjamin Netanyahu ha respinto al mittente franco-americano la proposta di una tregua di 21 giorni con gli sciiti libanesi di Hezbollah, a Washington non si lavora più per l’accordo. L’orizzonte diplomatico è quello di modellare l’attivismo militare israeliano, limitando i rischi. Alla via diplomatica crede ancora, o finge di credere, Beirut. Il presidente del parlamento Nabih Berri immagina una tregua di quattro settimane che porti a un cessate il fuoco, con garanzie sulla ricostruzione e al ritorno degli sfollati. Da parte sua, l’autorità libanese garantirebbe l’attuazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, quella che nel 2006 stabilì la Linea Blu di separazione tra Israele e Libano. Un corridoio demilitarizzato presidiato dalle forze di interposizione dell’Unifil. Quegli stessi caschi blu, tra cui mille italiani, ora chiusi nei bunker e ai quali l’esercito ha chiesto di evacuare. Fotografie satellitari mostrate da al-Jazeera indicano la presenza di truppe e decine di veicoli israeliani vicino alla base Unifil di Maroun al-Ras.

«Sosteniamo gli sforzi politici guidati da Berri che mirano al cessate il fuoco» ha dichiarato in televisione il leader de facto di Hezbollah, Naim Qassam, in un discorso dai toni non certo distensivi. «Le nostre capacità militari sono intatte. I nostri combattenti in prima linea sono solidi». La Cnn osserva che è la prima volta, in un anno, che Hezbollah cerca la via negoziale. Più che un segnale, un sintomo dell’impasse in cui si trova. Colpito pesantemente, prima nel sistema di comunicazioni con le esplosioni dei cercapersone e delle radio e subito dopo sul terreno, vorrebbe tempo per riorganizzarsi. Deve ancora eleggere il nuovo segretario generale, dopo l’uccisione dello storico leader Nasrallah e l’eliminazione quasi certa (l’ha ribadito Gallant) del successore in pectore Safieddin.

Sulle probabilità che Israele valuti la proposta di congelare l’offensiva regna lo scetticismo. Con una quarta divisione entrata ieri a calcare il suolo libanese, per la prima volta occupato anche da ovest, sarebbero 15mila i soldati impegnati, secondo i media israeliani. Nell’ennesimo raid su Beirut, l’esercito ha annunciato l’uccisione del comandante del quartier generale di Hezbollah, Suhail Hussein Husseini, cruciale nel trasporto di armi dall’Iran. Da parte sua, il gruppo filoiraniano ha bersagliato Haifa, terza città e porto di Israele: un centinaio di razzi in poco più di mezz’ora, intercettati.

Se Gallant va a Washington, anche la diplomazia iraniana si muove. Il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, ha fatto tappa in Arabia Saudita. L’obiettivo è quello di «dar vita a un movimento collettivo dei Paesi della regione per fermare i brutali attacchi in Libano e a Gaza». Araghchi, che ha recentemente ha visitato Beirut e Damasco, ha ricordato che «la politica di principio dell'Iran è quella di sostenere i movimenti di resistenza. Non siamo alla ricerca di un aumento delle tensioni e nel frattempo non abbiamo paura di nessuna guerra, poiché le nostre forze armate sono pronte per qualsiasi scenario». Non così la pensa Gallant: «Quando il fumo in Libano si sarà diradato, l’Iran capirà di aver perso la sua risorsa più grande».




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