mercoledì 22 maggio 2019
La piccola Repubblica baltica deve fronteggiare l’ondata di fake news che arriva da Mosca. «Vogliono destabilizzarci e rompere il nostro legame con l’Occidente»
La piazza del Municipio della città vecchia di Riga, la capitale della Lettonia

La piazza del Municipio della città vecchia di Riga, la capitale della Lettonia

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Camminando per le strade di Riga, la capitale della Lettonia rifatta a nuovo con i fondi europei dove il 50% della popolazione è russo e quella russa è la prima lingua parlata, capita di incrociare autocarri militari, con la bandiera italiana sventolante e i soldati a bordo che salutano sorridenti: sono gli Alpini. Ce ne sono più di 180 dislocati alla frontiera. Fanno parte del contingente Nato a difesa delle repubbliche baltiche e della sicurezza europea. I confini orientali con la Federazione russa e la Bielorussia restano zona calda. E anche l’Italia è impegnata in prima persona.

Non sono solo le intimidazioni militari e le continue provocazioni di Putin a preoccupare la Lettonia. Il nuovo fronte aperto è la propaganda delle fake news, la gigantesca e sofisticata strategia di disinformazione di massa messa in campo da Mosca per dividere l’opinione pubblica lettone e aizzarla contro l’Europa e l’Occidente. «È la minaccia più subdola che oggi viene dalla Russia», afferma il premier Arturs Krišjanis Karinš.

«Putin punta a indebolire l’Europa seminando zizzania nell’opinione pubblica. Così riesce a portare avanti con successo le proprie strategie geopolitiche, paralizzando la Ue e facendo pressione sugli Stati confinanti». Della guerra “disinformativa” lanciata dal Cremlino hanno fatto le spese anche i nostri Alpini. «Contro di loro è stata lanciata una macchina del fango impressionante al fine di screditarli di fronte alla comunità lettone», racconta Sebastiano Fulci, ambasciatore d’Italia a Riga, mentre sorseggia un caffè nel bellissimo palazzo Jugendstil di Teatra iela. «Facendo leva sulla popolazione russa che segue soltanto canali informativi di madrelingua, li hanno dipinti come ubriaconi, attaccabrighe, parte di un esercito d’invasione di centinaia di carri armati e di centinaia di migliaia di soldati. Nulla di tutto ciò. Il braccio di ferro con la Russia ormai si gioca sull’informazione ».

Non a caso a Riga è stato istituito presso la Nato lo StratCom, un centro di ricerca sulle comunicazioni strategiche, dove presta servizio anche il tenente colonnello italiano Federico Lucidi. «Viene effettuato un monitoraggio continuo della propaganda russa, specialmente quella sui social», spiega l’ambasciatore Fulci. «Sono molto impegnati anche nel campo dell’antiterrorismo». La Lettonia è l’avamposto orientale dell’Unione Europea. Anche dopo le elezioni nazionali dell’ottobre scorso che hanno confermato primo partito il filo-russo Armonia, il governo di coalizione che si è formato resta fortemente filo-europeo, e il partito Armonia è finito all’opposizione.

«La vocazione europeista della Lettonia è fuori discussione », ha dichiarato di fronte agli ambasciatori della Ue il premier Arturs Karinš. «L’Unione Europea non è certo perfetta, ma è il contesto migliore che io possa immaginare oggi per il nostro Paese». Per capire cosa pensano dell’Europa i giovani, la generazione nata dopo l’indipendenza del 1991, bisogna andare all’università di Economia, alla facoltà di studi internazionali. Lì ci aspetta Deivids Balodis, vent’anni, membro della consulta degli studenti, lettone con origini anche russe, bielorusse e lituane. «Certo che andrò a votare per le Europee, e non per il partito di Armony», sorride convinto. Parla quattro lingue: inglese, francese oltre alle due madrelingue lettone e russo. Ha fatto esperienze di studio e lavoro in Francia. È figlio di una generazione digitale multiculturale, che sente la Lettonia come la propria terra e le proprie radici, ma è proiettata nel mondo. «L’Unione Europea è un dono di Dio», afferma. «Qualcosa che non possiamo nemmeno immaginare di perdere. Mi ricordo benissimo la felicità di mia madre e di mio padre nel 2004, quando fu vinto il referendum per l’entrata nella Ue. Per noi è stato un passaggio epocale. In un Paese piccolo come il nostro, far parte della Ue è una necessità, sia di sicurezza che di opportunità».

Anche la Chiesa cattolica lettone si è mobilitata per l’Europa alla vigilia del voto con un appello a tutti i fedeli per recarsi alle urne e votare responsabilmente partiti e candidati filoeuropeisti. Nella parrocchia di santa Maria Maddalena, Andris Kravalis, vescovo ausiliare da pochi giorni, legatissimo alla spiritualità carmelitana, tiene in braccio orgoglioso Estere, una bambina di pochi mesi che ha appena battezzato. «Questi bambini sono il futuro della Lettonia e della Chiesa», esclama. «Dobbiamo sostenere l’Europa anche per loro». Alla domanda cosa è per lui, vescovo dell’Est, l’Europa, risponde: «Libertà, democrazia, radici cristiane. Altrimenti veniamo divorati dalla Russia. La lettera dei vescovi è stata una parola di chiarezza per tutti. Occorre contrastare la propaganda russa sotterranea». Di comuni radici culturali europee da difendere parla anche Baiba Šavrina, docente di Economia all’università di Riga, direttrice del master in International Business.

«Dopo cinquant’anni di dominazione sovietica, finalmente abbiamo potuto tornare alla cultura occidentale. Noi siamo e ci sentiamo europei», spiega sorseggiando una tazza di te. «Aderire alla Nato per me è stato ancor più importante dell’entrata nella Ue, che tra il resto ha fatto venir meno la nostra sovranità monetaria. Appartenere alla Nato, invece, è strategico per la nostra indipendenza. Senza l’alleanza saremmo soli di fronte al gigante russo. L’adesione atlantica è protezione, solidarietà, difesa in caso di attacco ». Se il vicino russo è guardato con sospetto, Riga ha invece allargato gli orizzonti, anche economici, verso il lontano Oriente. È la Cina il partner prescelto. L’adesione alla Belt and Road Initiative, la Via della Seta, il colossale progetto infrastrutturale e geopolitico di Pechino, ha aperto il moderno porto della capitale, costruito per quindici chilometri su entrambe le sponde del fiume Daugava, ai traffici con l’antico Impero celeste. Lungo le rive è tutto un movimento di container, trattori-gru, cassoni, sostenuto da capitali cinesi che puntano ad entrare nella gestione e nel controllo delle strutture portuali.

Una linea ferroviaria collega Riga a Xi’an. Per la Cina la Lettonia è diventata il terminale sul Baltico, il quale acquisirà ancora più peso con la realizzazione della Rail Baltica, il collegamento ferroviario ad alta velocità fra le repubbliche scandinave, quelle baltiche e l’Europa centrale. Del resto l’economia lettone continua a correre, anche se meno di Lituania ed Estonia. Nel 2018 si è registrata una crescita del Pil del 4,8%, arrivando a sfiorare i 30 miliardi di euro. Le previsioni per il 2019 parlano di una crescita ulteriore del 3,2%. La produzione industriale è aumentata del 2%, il comparto minerario del 4,3%, quello manifatturiero del 3,4%.

Il settore delle costruzioni è in piena espansione, e anche quello del legno, che viene esportato addirittura in Svezia. Anche con l’Italia gli scambi sono aumentati: le esportazioni del nostro Paese sono salite a 592 milioni, le importazioni a 200 milioni. Uno dei fenomeni che la Lettonia si trova a fronteggiare è la scarsità di manodopera con la continua emigrazione dei giovani verso il resto d’Europa. In attesa di sapere cosa succederà con la Brexit, Londra e l’Inghilterra restano il sogno di molti giovani lettoni, specie coloro che hanno diplomi e laurea.

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