Claudio Dalla Zuanna, arcivescovo di Beira in Mozambico - Collaboratori
«C’è in corso un tentativo esteso di islamizzare l’Africa. Si prova a far passare l’idea che l’islam sia la risposta per le popolazioni locali, visto che sono stati i “crociati” a sfruttare il Continente. E ci sono grossi investimenti in questa direzione, soprattutto in arrivo dai Paesi del Golfo. La “manodopera” a Cabo Delgado l’hanno trovata facilmente. Qui a Beira sono sorte decine di moschee e scuole coraniche, le ragazze indossano il velo e si è iniziato a finanziare viaggi di giovani mozambicani in Arabia Saudita ed Egitto, dove vengono indottrinati con una visione dell’islam diversa da quella presente qui, molto più radicale. Questo non ha necessariamente un legame diretto con quello che è successo a Cabo Delgado, ma è uno dei fattori che incide in generale sulla crisi». Monsignor Claudio Dalla Zuanna, argentino di nascita e di famiglia italiana, è arcivescovo di Beira dal 2012 ed è una delle voci più ascoltate della Chiesa cattolica mozambicana.
La crisi di Cabo Delgado è la combinazione di un insieme di situazioni. Tutto però sembra essersi esacerbato dopo la scoperta di importanti risorse naturali. La solita «maledizione »?
L’elemento di base è la vita della gente locale, abbandonata, senza infrastrutture, servizi e prospettive di sviluppo. Nell’ultimo decennio è iniziato lo sfruttamento di queste immense risorse naturali, in particolare il gas con l’arrivo delle aziende straniere e l’estrazione dei rubini. All’inizio, per quanto riguarda le pietre preziose, si erano diffuse le miniere artigianali, poi le autorità hanno centralizzato le concessioni, affidandone l’estrazione a imprese straniere, inviando l’esercito sul terreno. I giovani e in generale la gente del posto hanno subito violenze, torture. Questo di fatto ha contribuito a far crescere il rancore da parte di chi era rimasto senza lavoro e possibilità di sfamare la propria famiglia.
Ora a fare gola è soprattutto il gas.
Lo sfruttamento del gas riguarda in particolare la penisola di Afungi, dove dovrebbe sorgere una cittadella per 200mila persone, personale tecnico delle imprese coinvolte. Il gas è destinato soprattutto al mercato asiatico. Per permettere l’avvio del progetto, le autorità hanno quindi iniziato ad ordinare il dislocamento di intere comunità di piccoli pescatori, persone che in altre zone non saprebbe di cosa vivere, visto che non sanno nemmeno coltivare la terra. È a quel punto, nel 2017, che è arrivato il primo assalto di questi giovani a Mocimboa da Praia. Da lì è stato uno stillicidio di piccoli attacchi.
Il governo ha provato a risolvere il tutto con la forza, ma tra mille difficoltà.
Esercito e polizia combattevano in maniera non coordinata, totalmente incapaci di contrastare i ribelli, mentre fallivano anche gli interventi dei mercenari russi di Wagner e di una compagnia sudafricana. Nel frattempo i progetti di estrazione del gas proseguivano, perché condotti off-shore. A marzo di quest’anno, però, i ribelli hanno occupato Palma, la gente è scappata. La Total ha quindi sospeso le operazioni, mentre l’area restava spopolata. Solo l’intervento dei militari ruandesi ha permesso di riconquistare i centri più importanti, ma i ribelli non sono stati catturati: si ritiene si siano divisi in piccoli gruppi.
C’è la speranza che la situazione possa normalizzarsi?
Sul territorio resta una realtà di insicurezza e inoltre gli sfollati non sono certo incoraggiati dalle autorità a tornare. Il messaggio che passa è: «Dimenticate la vostra terra». E allora è normale chiedersi: c’è qualche interesse perché sia così? Ognuno dia la sua risposta.