Subito dopo la grande preghiera del venerdì, il rito funebre in onore di Abdullah bin Abdulaziz è iniziato nella moschea intitolata all’imam Turki bin Abdullah. Diretta tv, delegazioni di capi di Stato del Golfo e di altri Paesi stranieri, nonostante le poche ore passate dall’annuncio della morte del sovrano dell’Arabia Saudita, presumibilmente avvenuta l’altra notte a Riad a 91 anni. Un rito volutamente semplice e molto austero, in obbedienza al rigorismo wahhabita. Il feretro, ricoperto da un semplice drappo bianco, è stato portata a spalla nel centro della moschea da numerosi dignitari della dinastia saudita e poi posato a terra. Il sesto re dell’Arabia Saudita, abituato a risiedere in un sontuoso palazzo, è stato poi sepolto in una tomba spoglia di un cimitero pubblico. Neanche un giorno di lutto nazionale, uffici pubblici aperti e bandiere ben in cima ai pennoni, perché in segno di sottomissione alla volontà di Dio, non è prevista nessuna manifestazione di dolore in pubblico.
Rigore religioso, senso di egualitarismo e continuità politica. Salman bin Abdulaziz, 78 anni, fino al giuramento principe ereditario, in un discorso alla tv a esequie ancora da iniziare, ha promesso di procedere sule orme del fratellastro Abdullah: «Resteremo, con il sostegno di Dio, sulla stessa retta via che il Paese ha seguito dalla fondazione», ha dichiarato il nuovo sovrano. Riad ha voluto subito assicurare continuità sia in politica estera che petrolifera. Salman ha pure nominato un altro fratellastro di re Abdullah, Muqrin, principe ereditario e il ministro dell’Interno, Mohammed bin Nayef, vice- principe ereditario. Nomine, in un complicatissimo gioco dinastico, che hanno così definito l’evoluzione della dinastia saudita presumibilmente per oltre un decennio. Abdullah era stato ricoverato il 31 dicembre per una polmonite, ma operato più volte alla schiena negli Stati Uniti, aveva di fatto già demandato l’incarico di rappresentarlo all’erede designato, il principe Salman bin Abdulaziz. Un passaggio di testimone comunque delicatissimo, per la più grande potenza petrolifera mondiale e per il ruolo determinante che Riad ricopre per la stabilità del Medio Oriente. Alla cerimonia funebre, oltre agli emiri del Kuwait e del Qatar, erano presenti il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che ha annullato di gran fretta una visita in Somalia, e il premier pachistano Nawaz Sharif. Capi di Stato sunniti, ma non solo. Per la Russia era presente il premier Dmitri Medvedev. Chi non c’era ha comunque voluto sottolineare la gravità della perdita. Per Barack Obam re Abdullah era un «amico prezioso» e «un leader sincero» che «ha fatto passi coraggiosi con l’obiettivo di arrivare alla pace in Medio Oriente». Nei prossimi giorni il vice presidente Joe Biden guiderà una delegazione statunitense a Riad. Pure il presidente francese, François Hollande, si recherà nei prossimi giorni in Arabia Saudita «per portare le condoglianze» per la morte del re Abdullah. Oggi a Riad è atteso il premier britannico, David Cameron. A Londra, dove Elisabetta ha ora il primato di sovrana più longeva, ha però destato polemica la decisione del principe Carlo di ammainare le bandiere a mezz’asta per la scomparsa di un amico personale. Cordoglio ha espresso pure Israele, pur non avendo mai avuto relazioni con Riad. La sua politica «ha contribuito molto alla stabilità del Medio Oriente», ha dichiarato il capo dello Stato israeliano Reuven Rivlin. Anche l’Iran, storico rivale dell’Arabia Saudita, si è unito al cordoglio, annunciando una visita a Riad del ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, attesa da tempo.