giovedì 5 dicembre 2019
Oltre seicento le vittime del «traffico delle mogli». Spesso le autorità coprono gli illeciti per compiacere il potente vicino. Ancora un caso di una ragazza sottratta alla famiglia
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Sono 629 le donne pachistane, per la maggior parte cristiane, inviate in Cina per essere date in sposa a facoltosi individui, e spesso costrette a subire violenze e abusi. In maggioranza, i casi sono stati registrati tra gennaio 2018 e aprile 2019, ma anche la polizia ammette che «questo traffico lucroso prosegue». Intervistato dal-l’Associated Press, a centinaia di chilometri dal luogo di residenza per evitare ritorsioni, un alto funzionario di polizia esperto della tratta di esseri umani in Pakistan, ha anche indicato come molte delle donne ascoltate durante le indagini sono state sottoposte a trattamenti per la fertilità, ad abusi e, in alcuni casi, costrette a prostituirsi, mentre in un caso sarebbe emerso un prelievo di organi.

Lo scorso settembre, la stampa pachistana aveva diffuso con enfasi il rapporto redatto dall’Agenzia investigativa del Pakistan dove si dettagliavano i 52 casi di cittadini cinesi e di venti pachistani accusati di avere organizzato un traffico di esseri umani finalizzato al matrimonio in Cina. Dei cinesi, 31 sono stati successivamente assolti e altri 21 condannati a piede libero e espulsi. Contemporaneamente, ha sottolineato Saleem Iqbal, attivista cristiano che cerca di sostenere il ritorno delle donne alla famiglie e impedire il loro espatrio, il governo ha posto quella che è stata definita «un’immensa pressione» sugli investigatori per evitare che le indagini creino difficoltà agli intensi rapporti bilaterali tra Islamabad e Pechino, del valore di molte decine di miliardi di dollari.


629
almeno, le donne pachistane che sono state individuate come vittime di tratta delle mogli verso la Cina
8
i Paesi citati da Human Rights Watch come “fonti” di spose per i maschi cinesi, un numero in crescita
40 milioni
le donne in meno degli uomini in Cina, a causa della politica demografica e della selezione di genere

La conferma in questo senso proviene anche da Omar Warriach, direttore per l’Asia meridionale di Amnesty International, secondo cui il Pakistan «non può lasciare che i suoi stretti rapporti con la Cina diventino ragione per ignorare gli abusi dei diritti umani sui suoi propri cittadini». Una realtà che, ha indicato Warriach, riguarda non solo gli abusi sulle donne cedute come mogli, ma anche la separazione coatta di donne pachistane dai loro mariti cinesi di etnia uighura inviati nei «campi di riqualificazione professionale» con l’intento di allontanarli dalla pratica islamica. Al contempo, però – anche come estensione del sospetto dei cinesi verso un “contagio” islamico potenzialmente destabilizzante – da più parti si hanno notizie sull’appartenenza maggioritaria alla religione cristiana delle pachistane vittima della “tratta delle mogli” verso la Repubblica popolare cinese. Ancora una volta, una discriminazione religiosa che apre ad abusi. Gli stessi che riguardano le cristiane rapite da musulmani e costrette alla conversione, a volte come “riparazione” allo stupro, spesso a scopo matrimoniale.

Ultimo caso, segnalato anche dalla Chiesa pachistana, che ha partecipato a iniziative per chiederne la restituzione alla famiglia, il caso della 14enne Huma Younus. Rapita da un adulto e da due complici il 10 ottobre a Karachi e portata altrove. Huma ha comunicato in un video di non essere stata rapita ma di avere accettato di seguire volontariamente quello che è diventato suo marito per la legge islamica. Padre Saleh Diego, direttore della Commissione nazionale Giustizia e Pace ha condannato «l’atto criminale».

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