lunedì 16 settembre 2024
La guerra ha fatto esplodere anche una crisi economica senza precedenti nei territori occupati. Mentre l'espansione delle colonie sottrae risorse ai palestinesi. A Gerico avvelenato un intero gregge.
Persi 306mila posti di lavoro. E gli estremisti usano la "beneficenza"
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Finito di versare caffè caldo agli automobilisti nel caotico valico di Qalandiya, il piccolo Ahmed promette di tornare sui quaderni di quarta elementare. Ha il compito di svuotare il thermos e consegnare alla mamma il pugno di monetine con cui potranno comprare frutta e farina. Yasser, il padre, faceva da guida turistica. È uno dei 306mila nuovi disoccupati di Palestina.
Tempi duri, un’occasione ghiotta per chi, approfittando di rabbia e nuove povertà, vuole farsi largo in mezzo a fazioni e movimenti politici i cui proclami non riempiono lo stomaco. È così che attraverso la rete informale della beneficenza, l’Iran si infiltra nei Territori occupati, insediando quel Welfare clandestino che fa da supplenza ai vuoti delle autorità locali. Mai come negli ultimi mesi gli Hezbollah libanesi hanno ottenuto consensi in Palestina. E non solo perché agli occhi di molta opinione pubblica i miliziani mossi da Teheran danno filo da torcere a Israele. Solo ieri dal Libano meridionale sono stati lanciati oltre 60 ordigni, con l’allarme suonato nel Nord di Israele per tutta la giornata, come non accadeva da tempo.

La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) ha fatto i conti alla guerra. L’attacco di Hamas del 7 ottobre e la reazione di Tel Aviv «hanno prodotto uno choc senza precedenti che ha travolto l’economia palestinese», riassume il rapporto presentato a Ginevra dall’uffico Onu che si occupa di imprenditoria, finanza, commercio internazionale. Se l’economia di Gaza viene definita «in rovina», con le già scarse risorse agricole decimate fino a un calo della produzione vicino al 96%, in Cisgiordania il tasso di disoccupazione in soli 10 mesi (da ottobre 2023 ad agosto 2024) è balzato dal 12,9 al 32% e in costante crescita.

Ad aggravare le prospettive, non solo economiche, c’è l’impunità con cui i coloni israeliani spadroneggiano. Venerdì a Gerico, come di consueto prima dell’alba, i fratelli beduini Suleiman e Mohammad Melihat hanno raggiunto il bestiame per la mungitura non lontano dai fertili campi lungo il fiume Giordano. Ad attenderli, dei terribili lamenti. Hassan Malihat, dell’Organizzazione Al-Baydar per la difesa dei diritti dei beduini, dice che i coloni hanno avvelenato l’acqua da cui si abbeveravano gli ovini, uccidendone più di 50 e gettando sul lastrico due famiglie numerose. Secondo Malihat lo scopo è chiaro: «Costringere coltivatori e allevatori ad abbandonare le terre». Perché possano accaparrarsene i coloni progressivamente espellendo la popolazione palestinese. A incoraggiarli, le parole del ministro Bezael Smotrich, saldamente al suo posto. Cinque giorni fa ha inviato un messaggio pubblico: «La missione della mia vita è costruire la Terra di Israele e contrastare la creazione di uno Stato palestinese». Smotrich è ministro delle Finanze e responsabile degli affari degli insediamenti nella Cisgiordania occupata. In questa veste ha rinnovato una promessa che non ha fatto battere ciglio all’esecutivo: «Continuerò a lavorare con tutte le mie forze affinché il mezzo milione di coloni che sono in prima linea e sotto il fuoco godano dei diritti di ogni cittadino in Israele». L’infiltrazione di Hezbollah in Cisgiordania presta il fianco ai piani dei fanatici dell’occupazione. Secondo diversi report resi pubblici dall’intelligence israeliana, Hezbollah conterebbe in tutta la Cisgiordania su poche centinaia di militanti armati, ma l’organizzazione sciita negli ultimi tempi sta prediligendo l’approccio solidaristico nei confronti dei palestinesi in maggioranza sunniti. Teheran è riuscita a stabilire e mantenere una rotta delle armi e del contrabbando. Equipaggiamen-to e denaro vengono trasportati in Cisgiordania attraverso il confine siro-libanese, tramite la Giordania.

A favorire l’accesso nei campi profughi attraverso piccoli ma capillari aiuti economici, al contempo persuadendo i giovanissimi da destinare alle milizie fondamentaliste, è il profondo disagio. «Le condizioni del mercato del lavoro in Cisgiordania – si legge ancora nel dossier di Unctad – si sono deteriorate in modo significativo, con il 96% delle aziende che hanno segnalato una diminuzione dell’attività e il 42,1% che ha ridotto la propria forza lavoro». La perdita di posti di lavoro ha tolto alle famiglie palestinesi un reddito giornaliero pari a 23 milioni di euro al giorno. L’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, ha denunciato che un suo dipendente è stato ucciso dall’esercito israeliano in Cisgiordania. È la prima volta che accade in dieci anni, si legge in una nota: «Sufyan Jaber Abed Jawad è stato ucciso sul tetto della sua casa da un cecchino durante un’operazione militare israeliana notturna. Sufyan lavorava come operatore sanitario e lascia la moglie e cinque figli». Da Gaza, le forze Tel Aviv (Idf) affermano di aver effettuato un attacco aereo contro un gruppo di “tattici” di Hamas in una sala di comando. I morti sarebbero almeno 5, ma i media palestinesi sostengono che le vittime sono più numerose. Il ministero della Salute controllato da Hamas parla di 64 morti e 155 feriti negli attacchi dell’Idf da giovedì. Secondo il ministero, 41.182 palestinesi sono stati uccisi e 95.280 sono rimasti feriti dall’inizio della guerra.

Quando ci lasciamo alle spalle Ramallah e il posto di confine di Qalandiya, il piccolo Ahmed non c’è già più. Altri bambini hanno preso il suo posto. Resteranno fino alla chiusura serale del checkpoint tra Israele e Cisgiordania, in mezzo a polvere e smog, provando a vendere succo di melograno, fazzoletti di carta, piccoli giocattoli.

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