E bimbi sfollati in un campo profughi nell’area di Mai Tsberi nella regione del Tigrai - Reuters
Nel blackout che di nuovo oscura il Tigrai soffiano sempre più forti i venti di guerra. Guerra totale. Dopo il cessate il fuoco proclamato unilateralmente dal primo ministro etiope Abiy Ahmed a fine giugno e il ritiro delle truppe federali da Macallè, le forze di difesa tigrine (Tdf) hanno ripreso il capoluogo, respinto la tregua e proseguito la controffensiva verso sud e ovest riprendendosi buona parte del territorio nel frattempo isolato da Addis Abeba. Tre regioni etiopi hanno rafforzato l’esercito nazionale sul fronte occidentale, secondo il sito Sada El Balad, aggiungendosi alle milizie Amhara e si preparano allo scontro. Debretsion Gebremichael, leader del Tplf (partito del fronte di liberazione popolare del Tigrai) ha annunciato sabato alla Reuters il rilascio di mille prigionieri di guerra dell’esercito federale.
Altri 5.000 restano in mano ai tigrini che vogliono processare gli ufficiali per le atrocità contro i civili. Intanto Amnesty International ha denunciato arresti arbitrari di massa di etiopi di origine tigrina ad Addis Abeba, perlopiù attivisti e giornalisti, alcuni dei quali picchiati e trasportati a centinaia di chilometri dalla capitale. Il governo federale ha negato gli arresti “etnici”, ma ha inasprito la censura sospendendo la licenza al giornale indipendente online Addis Standard, che ha coperto dall’inizio il conflitto nella regione settentrionale etiope. Dove, oltre all’emergenza umanitaria con due milioni di sfollati e 400mila a rischio carestia, la stessa vita quotidiana è messa a dura prova da settimane di sospensione dell’energia elettrica e dal blocco dei collegamenti.
La preoccupazione dell’ambasciatore dell’Ordine di Malta, Borin: la sensazione è che «ci sia ancora
un minimo spiraglio per tornare a ragione e cuore»
L’ha riassunta un tweet della Croce Rossa internazionale: uffici e banche chiusi, persone senza soldi per comprare cibo e prezzi alle stelle. E ieri l’unica azienda produttrice di ossigeno in Tigrai ha chiuso e i malati di Covid non ricevono neppure gli aiuti di base in ospedale.
Ma non si stanca di chiedere pace Paolo Borin, ambasciatore in Etiopia del Sovrano Militare Ordine di Malta, presente nel grande paese africano dal 1970. «Siamo molto preoccupati dalla deriva del conflitto – spiega il rappresentante della millenaria istituzione cattolica –, si stima che tutta o quasi la popolazione tigrina abbia problemi di alimentazione, con molti bambini abbandonati che vagano senza riferimenti». L’Ordine di Malta dallo scoppio del conflitto ha inviato aiuti in denaro alle congregazioni religiose per far arrivare cibo in Tigrai. «La fame è la priorità – prosegue l’ambasciatore – soprattutto per donne e bambini, i più fragili. Sosteniamo già il centro sanitario per la maternità ed infanzia dell’università Cattolica della capitale, vorremmo replicarlo in Tigrai.
E aiuteremo una congregazione religiosa femminile che in due città della martoriata regione gestisce scuole e orfanotrofi». Totale l’appoggio alla Conferenza episcopale etiope che chiede l’accesso degli aiuti. L’Ordine sta praticando una moral suasion sulle autorità chiedendo un canale umanitario che consenta l’arrivo di cibo, acqua, medicinali, carburante. «Non consentire semina e raccolti sarebbe di una gravità inaudita. Da quasi millenari operatori di pace neutrali e imparziali auspichiamo un dialogo vero e un duraturo cessate il fuoco. La sensazione è che ci sia ancora un minimo spiraglio per tornare a ragione e cuore, come chiede il Papa nella Fratelli tutti».