Un accampamento profughi allestito dall'Agenzia dell'Onu per i palestinesi (Unrwa) a Rafah nell'estremo sud della Striscia di Gaza - Ansa
Di soldi a Gaza ne sono arrivati tanti, negli anni. Di fatto, la Striscia viveva degli aiuti internazionali prima della guerra dichiarata da Hamas con i massacri del 7 ottobre. Un importante datore di lavoro, nonché fornitore di sussidi e servizi, è l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi (Unrwa). Nel 2022 l’Italia l’ha sovvenzionata con 18 milioni di euro e gli Stati Uniti hanno versato 344 milioni di dollari, seguiti da Germania e Unione Europea. Il Canada ha dato 24 milioni e l'Australia 14. Ora le donazioni sono sospese, dopo la bufera che ha investito l’organismo accusato da Tel Aviv di essere coinvolto, tramite «alcuni» suoi dipendenti (12 i licenziati, secondo Hamas «su indicazioni sioniste»), nel feroce assalto che causò 1.200 morti in Israele e la presa in ostaggio di 240 persone.
Dopo lo stop americano, anche l’Italia, il Regno Unito, il Canada, l’Australia, la Finlandia e la Germania hanno congelato i fondi in attesa dell’indagine interna. «Qualsiasi dipendente coinvolto in atti di terrorismo sarà chiamato a rispondere» ha ribadito il segretario generale Philippe Lazzarini. Vale la pena ricordare che 152 dipendenti sono morti e 141 strutture sono state danneggiate o distrutte nel conflitto. «L’Unrwa svolge un ruolo fondamentale nell’assistenza ai palestinesi – ha osservato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken –. Il suo lavoro ha salvato vite» E la stessa Agenzia ha definito «scioccante» la sospensione dei fondi.
Da Tel Aviv, il ministro degli Esteri Israel Katz denuncia: «Da anni avvertiamo che l’Unrwa perpetua la questione dei rifugiati, ostacola la pace e funge da braccio civile di Hamas a Gaza». Vorrebbe l’agenzia fuori dalla Striscia ed esclusa dal dopoguerra. Il premier Benjamin Netanyahu è tornato ad accusare il Qatar: «Ospita Hamas, almeno prema per il rilascio degli ostaggi». Prima del colpo di teatro in tv:«Questo è il Mein Kampf di Hitler in arabo. È stato trovato a Gaza: così educano i loro figli». Sotto casa sua, a Cesarea, andava in onda la protesta dei familiari dei rapiti.
Una prospettiva, quella della fine dei combattimenti, evocata solo nei contatti tra intelligence (israeliana, americana, egiziana e qatariota in primis), che proseguiranno a Parigi con l’arrivo del capo della Cia William Burns. Secondo il New York Times «funzionari di almeno 10 amministrazioni» stanno lavorando a tre punti: il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco; la revisione dell’Autorità palestinese (Anp); la normalizzazione dei rapporti fra Arabia Saudita e Israele in cambio della creazione di uno Stato palestinese. «La soluzione dovrà non solo fermare il conflitto ma soprattutto indicare come sarà governato il territorio».
Un orizzonte che resta lontano dalla quotidianità nella Striscia. Medici senza frontiere (Msf) riferisce che non esiste più alcuna struttura sanitaria in grado di fornire cure salvavita nel caso di un ingente afflusso di feriti. All’ospedale Nasser di Khan Yunis, evacuato e sotto assedio, ci sono fra i 300 e i 350 pazienti, con ferite aperte, fratture e ustioni. Un degente è morto perché non si trovava un chirurgo. L’infermiere Rami, attraverso i canali ufficiali di Msf, riferisce che il 25 gennaio sono arrivati, tutti insieme, 50 feriti e 5 morti: «Non c’erano letti, solo qualche sedia. Sono andato in sala operatoria a chiedere garze per l’addome e mi hanno risposto che le usano, le lavano, le sterilizzano e le riutilizzano». Anche l’ospedale Europeo, il secondo del sud, è irraggiungibile.
Le vittime, stando al ministero della Sanità di Hamas, sarebbero 26.257, più 64.797 feriti, con 174 uccisi in ventiquattr’ore. A Khan Yunis le Forze di difesa hanno «eliminato molti terroristi armati a distanza ravvicinata». Israele sospetta che i leader di Hamas e i 136 ostaggi siano nascosti nei tunnel sotterranei di quest’area.